Dare un’etichetta, assegnare un genere a “La rabbia dell’orsa” di Ingebjørg Berg Holm (Carbonio editore) è molto difficile, perché si rischia di fare torto all’autrice e alla felice scelta dell’editore. Infatti, è stato definito un eco-thriller, con venature psicologiche e sociali, ma è molto di più.
Una minuziosa analisi di tre personaggi, della società in cui sono inseriti, del lavoro che svolgono (due sono glaciologi, cioè studiano i ghiacciai, una è un prete), dei temi della maternità tra desiderio e rifiuto, della paternità e del rapporto con la sfera sessuale, del contrasto tra istinto animale e sovrastrutture cultuali e sociali. Il tutto inserito in una natura difficile, ostile, abusata, selvaggia, che rivendica il proprio spazio e alla fine ricopre il ruolo di detonatore per l’esplosione finale della storia. Con un ritmo crescente, una tensione costante quanto basta per creare l’attesa di quello che deve (o può) accadere, in capitoli in cui si alternano costantemente le voci dei tre protagonisti: Nina, glaciologa, ex studentessa diventata amante del suo tutor, Njål, glaciologo anche lui, dal quale ha avuto una bimba di nome Lotta, e Sol, prete, ex moglie di Njål che non è riuscita ad avere figli.
Detto così può sembrare un classico triangolo, foriero di tensioni, incomprensioni, aspettative deluse, ansie, paure. C’è tutto questo, ma si va ben oltre. La Berg Holm riesce a scavare nelle pieghe più intime, in recessi dell’anima che spesso non si ha il coraggio di confessare nemmeno a se stessi, indagando il lato oscuro di ognuno dei protagonisti (ma potrebbe essere chiunque, compreso chi legge) in una sorta di prolungata seduta psicanalitica, che si sposta costantemente da uno all’altro, avendo sempre al centro l’unica vera vittima: la bambina. Tutto quello che di malsano nuota nel profondo dell’animo dei tre viene a galla nel loro modo di rapportarsi, facendo crescere nel lettore, pagina dopo pagina, il dubbio di un inesorabile percorso verso l’orrore, con una sensazione di disagio che la dice lunga sulla capacità di coinvolgimento della Berg Holm.
L’ulteriore merito della scrittrice norvegese è quello di modificare scrittura e quindi linguaggio in ogni capitolo, dando voce, ad esempio a Niål, secondo i suoi schemi verbali e mentali, rendendolo estremamente vivo, con una resa quasi teatrale che coinvolge il lettore, portandolo sul palco a vivere quello che accade, i turbamenti, le angosce, le asprezze, i traumi, le difficoltà nei rapporti, accanto al personaggio che in quel momento è di scena.
La storia in estrema sintesi. Nina e Njål sono glaciologi, ricercatori del Centro sui Cambiamenti Climatici di Bergen, in Norvegia. Erano studentessa e tutor, hanno avuto una relazione ed una bambina, Lotta. Sol è l’ex moglie di Njål, è un prete un po’ atipico: beve, fuma e cerca così di affogare l’abbandono di Njål, probabilmente dettato dal fatto che non sono riusciti ad avere figli. Dopo la nascita di Lotta la relazione tra Nina e Njål è naufragata tra incomprensioni e ossessioni, soprattutto un episodio che potrete scoprire leggendo. Il rapporto tra i due è ai minimi termini anche a causa di un incarico prestigioso in una spedizione alle isole Svalbard, che si aggiunge alla lotta per la custodia di Lotta. Intanto Njål ha ripreso a vedersi con Sol, portando con sé anche la figlia. In un crescendo di intrecci, di accuse, di menzogne e di sospetti, che portano i servizi sociali a intervenire, alla fine Nina accetta la proposta di Njål di partire per le Svalbard, per cercare di ricominciare, soprattutto per non perdere Lotta. Alle loro spalle c’è però sempre l’ombra di Sol, che nel frattempo ha una novità che potrete scoprire sempre leggendo. Nella notte polare troveranno la soluzione ai loro problemi o il conflitto deflagherà in maniera definitiva?
Un romanzo scritto molto bene, che tocca temi troppo spesso relegati in un angolo, forse per timore di rimanere travolti dalla loro potenza devastante.
Traduzione di Andrea Romanzi