La bambina di vetro



jodi picoult
La bambina di vetro
corbaccio
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E’ raro che la vita dispensi con generosità solo lunghi anni sereni. Se guardo dietro di me vedo gioie, ma anche tanti, forse troppi dispiaceri, dolori e rinunce mischiati a un costante, cocciuto tentativo di riemergere e andare avanti. Forse anche questo mi porta a essere un turbine scatenato come talvolta mi descrivono gli amici.

Ho affrontato La bambina di vetro con le molle. Non volevo leggerlo, non volevo lasciarmi trascinare nella sofferenza. Fa troppo male, lo so. Poi ho ceduto. Ne valeva la pena. E’ un libro bello, dolce, che affascina e commuove. Convincente, scritto benissimo ti avvolge nelle sue spire, costringendoti a continuare masochisticamente a bruciare le pagine, capitolo per capitolo.

Non auguro a nessuno di trovarsi a vivere la vita degli O’ Keefe, con la loro piccola tenera e coraggiosissima Willox, la bambina affetta da OI, o osteogenesi imperfetta, ossia la malattia delle ossa di vetro. Destinata a non crescere normalmente a subire centinaia di fratture dolorosissime. E questo porta a farsi la terribile domanda; perché accade? E perché a qualcuno piuttosto che a qualcun altro? Non auguro a nessuno di dover fare la scelta che Charlotte s’impone, nell’illusione di regalare alla figlia un futuro migliore, trascurando la sua vita, il marito e l’altra figlia Amelia, a mio vedere le due figure più umane della storia. Così vero e plausibile il rifiuto del padre di mettere in piazza i suoi sentimenti, altrettanto struggente la reazione di Amelia, con il suo rifugiarsi nell’autolesionismo.

Non mi entusiasmano certe esasperazioni di pathos che l’autrice si concede con la figura dell’avvocato Marin e della famiglia di Piper, la ginecologa di Charlotte, tradita dall’affetto e dall’amicizia, ma anche quelle portano acqua alla storia… Che poi resta la storia di Willox, unica, vera vittima sacrificale del destino.

patrizia debicke

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