La crime fiction – Stefano Calabrese e Roberto Rossi



Stefano Calabrese, Roberto Rossi
La crime fiction
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Anche questa estate gialli e affini l’hanno fatta da padroni, come testimoniano gli oltre 300 titoli usciti a luglio. A cosa si deve il successo globale e ormai di lungo corso di queste storie? Hanno provato a rispondere, giovandosi anche di un’ampia letteratura internazionale, Calabrese, docente di Comunicazione narrativa, e Rossi, ricercatore di Narratologia, in un agile volumetto che tuttavia richiede impegno al lettore non strutturato in materia per entrare dentro un linguaggio che vuole dar conto dell’incontro tra due ambiti, quello scientifico e sperimentale delle ricerche neurocognitive e l’altro non meno recente di carattere letterario-narratologico.
Crime fiction è una categoria-ombrello utilizzata per una molteplicità di modelli dall’indagine classica all’hard boiled, dal detective novel alla crime story in cui è protagonista è il criminale come Mr. Ripley di Highsmith etc. Ma già nel proto-detective di Poe, l’eccentrico August Dupin, oltre all’esercizio del ragionamento abduttivo riconosciamo “una premonizione delle moderne teorie della mente incarnata e dei neuroni-specchio, là dove i pensieri sono riflessi sul corpo che li ospita, a loro volta riflettendolo”. Sherlock Holmes è l’investigatore iper-cognitivo che anticipa di un secolo gli attuali processi di globalizzazione della comunicazione narrativa, rende dominante il cosiddetto clue-puzzle (mosaico di indizi) e apre all’età d’oro della detection classica, dove il detective è un cavaliere archetipico alla ricerca del Graal; principale esponente è Agatha Christie, che avvia il percorso di democratizzazione del delitto trasferendolo dalle sfarzose magioni nobiliari alle piccole comunità di borghesi agiati. Mentre i maestri dell’hard-boiled Hammett e Chandler lo collocano là dove realmente avviene, nella foresta urbana. A questo punto la crime fiction è matura per diventare transmediale.
Nelle conclusioni di tipo-socio-cognitivo gli autori provano a rispondere alla domanda posta all’inizio. Riassumendo studi e ricerche internazionali, la crime fiction funziona come palestra cognitiva per i lettori, in maniera crescente nell’era digitale, in quanto sono in grado di focalizzare l’attenzione sulla predizione di ciò che accade nella mente altrui e quindi aiutano ad allenare la mente con ipotesi e schemi previsionali. In un set finzionale il lettore può mettere alla prova questo tipo di competenza in condizioni di sicurezza per poi applicarle nelle condizioni date dalla realtà. Oggi un florido mercato narrativo formato da romanzi, film e soprattutto serie tv opera come una sorta di laboratorio cognitivo dove si sperimentano i principali modelli prototipici emozionali.
Le ultime pagine sono dedicate a sintetiche ma succose analisi di Io uccido, del Collezionista di ossa, del Codice da Vinci, di True Detective, di Millennium e di Romanzo Criminale. Proprio Larsson e De Cataldo ci mostrano la crime fiction anche come “una specie di collettore della storia nazionale”: i rigurgiti di neonazismo nel Nord Europa, il terrorismo di destra e sinistra e le collusioni della politica con la grande criminalità in Italia, sempre gli abusi del potere. In questo senso il poliziesco italiano è una costola di quello mondiale perché racconta, come dice Sciascia, “l’omicidio della democrazia a opera dei poteri occulti”.
Fernando Rotondo

Fernando Rotondo

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