Un bestseller come “I diavoli”, scritto dal letale trader e cofondatore dell’hedge fund Kairos Guido Maria Brera, non dovrebbe mai passare di moda nel mondo contemporaneo. Infatti, i cacciatori di teste di Sky, hanno avuto l’ottima idea di realizzare una serie televisiva, ispirata al libro, radunando un cast composto, tra gli altri, dal golden boy del cinema italiano Alessandro Borghi, dalla superstar statunitense Patrick Dempsey e dall’attrice di origini polacche Kasia Smutniak, protagonista femminile di Loro, la recente pellicola diretta da Paolo Sorrentino e incentrata sulla vita di un italiano tanto famoso quanto potente.
Come illustra chiaramente il sottotitolo, I diavoli racconta il mondo della finanza più rapace dall’interno della sua scatola nera, dai moderni uffici dei grattacieli della City e dai trading floor che l’autore conosce fin troppo bene. L’incipit chiarisce immediatamente il contesto in cui si muovono i personaggi principali: sotto la cupola ottocentesca della Royal Albert Hall, due uomini giocano in perfetto silenzio una partita di tennis privata che in realtà rappresenta molto di più. Massimo de Ruggero, romano di origini umili, asceso nel firmamento del trading mondiale, sfida il suo maestro Derek Morgan, CEO di una potentissima banca d’investimento angloamericana, in un match che mette in palio il bastone di comando di un fondo speculativo multimiliardario. I due giganti della finanza hanno idee molto diverse su come si debba procedere, perché Massimo si è messo in testa di commettere il peccato più grave per un finanziere: shortare contro il Tesoro americano entrando corto sui titoli di stato Made in U.S.A.
Il diavolo Morgan, un falco della supremazia a stelle strisce su qualsiasi cosa possa riguardare l’esistenza umana, non è disposto ad accettare un affronto simile senza reagire drasticamente. Dopo aver sfondato gli stop loss settati dall’ex discepolo a meno novanta milioni, l’americano sposta l’attacco speculativo sull’Europa, mettendo al centro del mirino un paese in particolare: l’Italia.
Nei punti oscuri e dietro gli angoli di questa grandiosa architettura si nascondono le miserie familiari e le ansie dei personaggi, del protagonista più degli altri. Al thrilling causato dallo spostamento inesorabile dei pips in senso contrario rispetto a quanto immaginato in fase di montaggio del trade, corrisponde la diminuzione dello spazio-tempo che separa la vita dell’elite globale – abituata a svegliarsi a Londra, pranzare a Parigi e scopare in un letto di New York – da quella della plebe fiaccata dal quotidiano lavoro alla macina del frantoio. Lo scenario di sangue raffigurato con la metafora della mattanza dei tonni, rappresenta plasticamente la sperequazione kafkiana e senza precedenti che divide l’1% della popolazione mondiale dalla restante e smisurata quota di soggetti impotenti.
Il limite del libro, quello attuale e forse temporaneo, oltre alla presenza di una sottile patina da rotocalco che riveste molti dialoghi, è l’essere stato superato dagli eventi. Lo scenario catastrofico preconizzato nella parte centrale dell’opera non si è verificato e, viceversa, la politica – soprattutto quella monetaria – ha preso una strada opposta rispetto a quanto immaginato da Brera. Il problema tuttavia non è stato affrontato da nessuna autorità internazionale e continua a mostrarsi in tutta la sua imponenza come il proverbiale elefante nella stanza: per oggi la profezia è stata sventata, e domani?