La notte dimenticata degli angeli



Natsuo Kirino
La notte dimenticata degli angeli
Neri Pozza
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 La notte dimenticata dagli angeli è il titolo di un vecchia canzone dei “Soulgains”. A cantarla era il loro front-man, una rockstar passata di moda e caduta nel dimenticatoio, Tominaga Yohei. Anche lui avrà la sua parte in quel caleidoscopico avvicendarsi di strane creature che animano le pagine del romanzo di Natsuo Kirino, che proprio da quella canzone prende il titolo.
Raccomandazione: leggete La notte dimenticata dagli angeli. L’inizio della storia è folgorante. Davanti ai nostri occhi scorrono le sequenze di un film porno, dove l’attrice — Isshiki Rino, questa il suo nome d’arte — dopo la sua “normale” prestazione viene violentata da due loschi figuri che irrompono sul set, Film-nel-film o realtà? Difficile dirlo. La cosa certa è che dopo Ultraviolence Rina sparisce e nessuno sa che fine abbia fatto. L’unica che sembra interessarsi alla sua sorte è Watanabe Fusae, attivista e proprietaria di una piccola casa editrice femminista: sarà proprio lei ad incaricare Murano Miro di indagare per capire cos’è avvenuto alla ragazza.
Inizia così un corposo romanzo di quella che molti hanno definito la regina del noir giapponese. Lasciano il tempo che trovano le definizioni, ma certo che Natsuo Kirino sa scrivere proprio bene visto che il libro tieni incollati dall’inizio alla fine.  Sono più di quattrocento pagine dove la tensione è sempre sostenuta e i personaggi delineati dalla sua penna sono credibili, nonostante lontani dalla nostra esperienza di occidentali. Prostitute, trans, gay, film porno, videonoleggi hardcore: è a questo mondo che Miro dovrà avvicinarsi per le sue indagini e lo farà non senza rischio personale, sfiorando gli interessi della Yakuza e cominciando a frequentare i locali notturni di Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokio.
Nonostante la crudezza degli argomenti trattati, si deve riconoscere a Natsuo Kirino la grande capacità di non trascendere mai, di non scadere nella “violenza per la violenza”, ma di gestire le scene (anche le più crude) sempre con una lievità che poi è tipica della narrativa orientale. A questo va poi aggiunto un gusto quasi vintage, non fosse altro perché il romanzo è uscito nel 1994, per cui nell’ipertecnologica Tokio di Miro non ci sono cellulari, internet, social. Solo videocassette porno in VHS. Già, preistoria…

 

 

Marco Minicangeli

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