Scrublands Noir – Chris Hammer



Chris Hammer
Scrublands Noir
Neri Pozza
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Inquietudine. Scrublands Noir è pura inquietudine. Lo si intuisce sin dalle prime pagine: un tranquillo paese di provincia, la calma più assoluta in una domenica mattina come tante altre. La piccola chiesa presa d’assalto dalle famiglie. E poi, di colpo, l’imponderabile. Urla, spari. Il sagrato che si tinge di sangue. Pochi attimi e Riversend smette di essere uno sconosciuto paese disperso nella regione rurale della Riverina per diventare la location di una strage inspiegabile. Sono cinque le vittime che l’intera Australia piange. E a morire quel giorno sarà anche il killer: il reverendo Byron Swift. Ucciso da un poliziotto, prontamente intervenuto per porre fine a quella follia. Sul perché un giovane sacerdote si sia macchiato di un gesto così atroce nella comunità che lo aveva accolto e amato, non ci sono certezze. Ma a Martin Scarsden i “se” e i “ma” non bastano. Per un giornalista “di nome e di fatto” come lui le uniche risposte accettabili sono quelle oltre “ogni ragionevole dubbio”. E le cerca.  

Inizialmente inviato per un tranquillo reportage su Riversend a un anno dalla strage, finisce ben presto invischiato in una rete di intrighi e depistaggi da cui sottrarsi gli sembra essere impossibile. L’unico modo per riuscirci è andare a fondo: arrivare alla verità che si nasconde dietro i fatti sconcertanti, taciuti troppo a lungo, che hanno armato la mano del reverendo Swift quella domenica mattina. E causato non solo cinque vittime, ma molte di più.     

Ad armare la mano di Chris Hammer, l’autore, è invece la lunga esperienza di cronista. La meticolosità, la ricercatezza. Il calcolo del rischio. Perché, diciamocelo, Scrublands Noir avrebbe potuto facilmente fare acqua e risultare poco credibile. Eccessivamente intricato, artificioso. E in effetti per gran parte del libro non si capisce dove Hammer voglia andare a parare, talmente è tanta la carne al fuoco. È un continuo disorientare, svicolare. Eppure non riesci a liberartene, proprio come Martin dai fantasmi che lo attanagliano. La sua penna imprigiona riga dopo riga: le scrupolose descrizioni di Riversend, fotografie tra le pagine, portano a credere che ci sia davvero, tra le desolate lande della Riverina, un paese popolato di demoni a cui la siccità sembra dare il colpo di grazia. Ne percepisci l’afa: la soffri, insieme al protagonista. 

Riversend però, proprio come Vigata, nasce e muore nella mente del suo autore: Hammer, per darle vita, si è ispirato a una serie di piccoli paesini sperduti dell’entroterra in cui si è recato per lavoro molti anni fa. Non lo puoi sapere, se non informandoti a posteriori. Perché, immergendosi in Scrublands Noir, Riversend sembra esistere realmente. Nella forza della narrazione. Nel campionario di esistenze che ci restituisce.  

Riversend vive nei suoi abitanti, ritratti abilmente nei loro chiaroscuri: soggetti eccentrici come Harley Snouch, Codger Harris, l’ambigua libraia Mandalay Blonde, l’agente-eroe Robbie Haus-Jones. E in Martin Scarsden: il suo cammino, costantemente sospeso tra desiderio di verità e ricerca di sé, è al contempo una feroce critica a un sistema giornalistico e massmediatico privo di etica, che pur di monetizzare non si fa scrupoli nel dare notizie non verificate, nel costruirle in maniera falsata, nello “sbattere il mostro in prima pagina“.    

Trovare una logica a questo arzigogolato susseguirsi di eventi apparentemente slegati tra di loro è la sfida a cui è chiamato il lettore. E a un certo punto si arriva persino a dubitare dell’effettiva esistenza di una logica. Fino a quando ogni pezzo non arriva a combaciare alla perfezione e il puzzle si ricompone per intero. Lì, la poderosa costruzione di Hammer non può non lasciare esterrefatti. E allo stesso modo, una volta usciti da Riversend, non si può non sperare di ritrovare presto Martin Scarsden. Le sue inquietudini, i suoi fantasmi. E di ritornare nuovamente in Australia: un territorio affascinante, che può raccontare molto più di quanto si pensi. 

Giulio Oliani

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