La strada



cormac mcCarthy
La strada
einaudi
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E’ accaduto qualcosa, di che si tratti, non giovando all’economia della storia, viene taciuto.
Ci sono un uomo e un bambino. E la strada che essi percorrono, diretti verso sud e il mare. In cerca del caldo e di altri uomini come loro. Attorno, un paesaggio sempre eguale, nel quale un sole opaco cava ombre stentate ad alberi sradicati e morti. Un mondo fatto di foreste umide, in cui piove la cenere di incendi estinti lasciando corpi anneriti e secchi, e legno nero, e sopra il terreno le coltri spesse della distruzione.
Trascinano un carrello. Dentro ci sono le cose che li tengono in vita, coperte, utensili, un telo di plastica per la pioggia. Alimenti conservati raccattati dentro case violate. 
Possiedono un accendino, per il fuoco. E una rivoltella per sparare ai cattivi. Quelli che si organizzano in branchi cenciosi, uccidono i loro simili e di essi, della loro carne decomposta, si cibano.
Le giornate, le pagine, si succedono uguali. Ipnotiche e stordenti. Accadono cose di poca o nessuna importanza, il cibo viene trovato, poi consumato, poi si esaurisce e subentra la fame. Il bambino chiede se stanno per morire, il padre dice che non lo permetterà allora il bambino dice ok, poi cala il silenzio.
Incontri mancati per un soffio, fuggevoli. Verso un finale che potrebbe nascondersi dietro ogni pagina, e nel quale si precipita in una riga.
La visione di McCarthy è netta, la scrittura ne viene messa sotto sforzo e si polverizza in una narrazione che procede per immagini giustapposte.
Una scrittura secca ma non minimale; parsimoniosa eppure sorprendente nella sua capacità di designazione. 
L’uomo e il bambino portano il fuoco. Non solo quello che accendono le sere in cui riescono a trovare abbastanza legna da poterne alimentare uno. Il fuoco della parola. La parola capace di custodire mondi e di serbarne la memoria. Essi sono il testamento del mondo, lo saranno finché il padre riuscirà a vincere i silenzi del figlio, e questo saprà conservarsi curioso, fare domande, giocare con un camion di plastica quando quelli veri sono ridotti a scheletri di metallo, e non vi è più di che riempirne i serbatoi, né vi sono strade percorribili o luoghi migliori da raggiungere. Questa la frontiera della visione mccarthiana. Ciò che rende doloroso questo romanzo non risiede nei molti orrori che vi vengono descritti, ma nella capacità di guardare dritto negli occhi l’ultimo e più spaventoso fra tutti, “la rivelazione finale della fragilità di ogni cosa”, il mondo che scompare e viene cancellato per sempre anche dall’ultimo ridotto difensivo, la memoria di chi lo aveva abitato essendovi felice.   

gabriele zauli

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