Intrigo italiano



Carlo Lucarelli
Intrigo italiano
Einaudi
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Stravedo per Bologna, dove ai tempi della Pantera ho fatto il Dams e lasciato un pezzo di cuore e stravedo per Carlo Lucarelli, di cui ho letto e in alcuni casi riletto, tutti i suoi ventidue romanzi. Il ritorno del commissario De Luca, che in “Intrigo italiano” (Einaudi, 200 pagine) però è “ingegnere” e poi scoprirete perché, è ambientato, appunto, a Bologna. Sono gli anni Cinquanta. E’ Natale. Nevica. Scampato a un attentato, De Luca (primo personaggio inventato da Lucarelli) è chiamato a indagare su una serie di morti la cui fine non interessa, in realtà, proprio a nessuno. Tranne che a lui, un “cane da caccia”. E’ una storia di servizi segreti, di jazz e di tortellini. C’è una giovane donna, un’ex staffetta partigiana, che quasi sempre sta scalza e coltiva il sogno di diventare una cantante famosa. E che fa girare la testa al commissario. C’è uno mandato dai servizi ad affiancare De Luca nell’indagine, ma non capisci mai bene da che parte sta. E c’è Bologna. Bologna che la fa da padrona, con i suoi portici che coprono e contemporaneamente nascondono, le osterie dove la gente arriva, si ferma e contribuisce a creare una sorta di “piccola Los Angeles”, ma è solo la pianura Padana. Lucarelli ha dalla sua una straordinaria dote: scrive come parla. Lo stile narrativo utilizzato è riconoscibilissimo, indipendentemente dal mezzo che usa: la tv, la radio, la carta stampata, i libri. Mica poco. Non mi viene in mente nessun altro con questa caratteristica. Che lo rende unico. La lettura di “Intrigo italiano” è un’immersione negli anni Cinquanta: per la mia generazione un viaggio a ritroso nel tempo, una lezione di storia su un’epoca in cui il Paese (guerra, antifascismo ecc…) era diviso in due parti e il problema di De Luca era non volersi schierare (ma fare soltanto il proprio mestiere). Se fosse una canzone, “Intrigo italiano” sarebbe “Luca lo stesso” di Carboni. Bentornato commissario. Voto 7.

 

Alessandro Garavaldi

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