Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? è iI terzo libro del trentatreenne americano, di origine ebrea, Jonathan Safran Foer.
Dopo Ogni cosa è illuminata e Molto forte, incredibilmente vicino, colui che è stato definito la giovane promessa della letteratura statunitense prima, e uno dei più talentuosi narratori contemporanei poi, questa volta si cimenta con un’opera complessa, per certi versi rischiosa, sospesa tra il pamphlet e il reportage, tra il romanzo autobiografico e il saggio storico.
Utilizzando il registro della non-fiction, affronta il tema gravoso e più che mai attuale del trionfo della logica produttiva su ciò che potrebbe essere definito, anche alla luce del libro, il comportamento etico.
Se niente importa è il risultato di tre anni di ricerca che ha consegnato nelle mani dei lettori non tanto, a dispetto del titolo, un manifesto del vegetarismo, quanto una spietata denuncia agli orrori degli allevamenti intensivi corredata da una puntuale raccolta di statistiche, documenti, citazioni e testimonianze, intrecciate al personalissimo punto di vista dell’autore.
Foer analizza le conseguenze insite nell’atto di cibarsi di carne, (“La mia domanda è: ti interessa o no sapere cosa significa mangiare gli animali”?) esplorando, rispetto a questo, ogni possibile orizzonte d’azione – ci sono pure gli onnivori selettivi, i carnivori etici e gli allevatori vegetariani, lo sapevate? – considerando, al contempo, le ragioni di tante posizioni opposte.
Il risultato è un libro che si legge d’un fiato, poco convincente solo quando tra le righe spuntano i sentimentalismi, forse inevitabili, dal momento che si parla spesso di sofferenza, gioia e crudeltà, ma interessante e ben documentato. La scrittura, seppur scorrevole, e la struttura dell’opera, che affianca in rapida successione le interviste alla raccolta dei dati, i racconti sul cibo alle tavole visive, passano in secondo piano rispetto al contenuto.
Lo spunto è autobiografico e l’inchiesta comincia da una riflessione sull’alimentazione (perché “nutrire mio figlio non è come nutrire me stesso: è più importante”), snodandosi in seguito su più livelli. I personaggi di questa storia non sono solo gli animali, che “hanno pagato caro il nostro desiderio di avere tutto, in qualunque momento, a un prezzo irrisorio”, ma anche vegetariani, vegani e militanti animalisti, allevatori e industrie – zootecnica, alimentare, farmaceutica – che chiamano a loro volta in causa questioni riguardanti la salute pubblica, i diritti dei lavoratori, l’ecologia, la globalizzazione.
Ma è l’individuo, inteso come soggetto capace di modificare l’andamento degli avvenimenti, l’unico vero protagonista. Il finale è prevedibile, ma aperto, perché lascia ancora questo protagonista libero di chedersi: tutto questo importa?