Il manoscritto delle anime perdute – Un’indagine di Dante Alighieri



Giulio Leoni
Il manoscritto delle anime perdute
Nord
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Ancora una volta Giulio Leoni affida a Dante, il suo eroe cult, il Sommo Poeta, il creatore della Divina Commedia, la parte di protagonista di una nuova e intrigante avventura nel passato.
Dopo un adrenalitico prologo con delitto in un tempio orientale sul tetto del mondo, si cambia scenario, passando ai primi giugno del 1304 a Poppi. Dante Alighieri vecchio partigiano ghibellino ora dalla parte dei Guelfi Bianchi – la fazione delle forze popolari, che vedeva tra le sue fila anche finanzieri e mercanti ma sosteneva la supremazia del papa, solo in campo spirituale – ha trentanove anni e non è più un giovanotto di primo pelo ma un uomo provato, povero e senza patria. I Guelfi Neri, capeggiati dai Donati, che facevano gli interessi delle famiglie più ricche di Firenze e chiedevano la restaurazione del potere nobiliare, con l’appoggio di papa Bonifacio VIII e delle truppe francesi di Carlo di Valois, hanno sconfitto i Bianchi e l’hanno condannato all’esilio.
Dante però non ha rinunciato a battersi per la sua causa. Durante il tempestoso convegno di partigiani fuorusciti presso la fortezza dei Conti Guidi, con i signori toscani che fremono per tornare all’attacco e riconquistare Firenze con le armi, il sommo poeta si accolla l’onere e l’incarico a recarsi a Verona in veste di ambasciatore nel tentativo di ottenere l’appoggio di Alboino della Scala, signore della città e vicario imperiale, e convincerlo a schierarsi dalla parte dei Bianchi.
Ma a Verona è arrivato anche il terribile vescovo inquisitore Lanfranco Da Cuma sulle tracce di un manoscritto maledetto, scritto nel lessico dei primi uomini, l’arcana lingua degli angeli caduti e che contiene una rivelazione. Il manoscritto è stato portato dall’Oriente da un frate francescano, fra’ Guiscardo, che è riuscito a decifrarlo ma intende consegnarlo solo nelle mani di papa Benedetto XI. Secondo il Da Cuma invece quei fogli sarebbero sacrileghi, rivolti al blasfemo culto di Satana e, per impadronirsene, non esita a spargere dietro di sé un lugubre corteo di morte.
Fra’ Guiscardo, che per ottenere quel testo si era macchiato di sangue, è riuscito a scivolare tra maglie dell’inquisizione, per nascondersi proprio a Verona. Là, uno dei fogli del manoscritto, affidato a una copisteria, susciterà la curiosità del Sommo Poeta in cerca degli amanuensi per la sua Opera. Le sue indagini approderanno a un brevissimo contatto con Fra’ Guiscardo che gli offrirà solo pochi indizi su quel misterioso foglio, scatenando la sua sete di sapere. Le strade del frate e del poeta si incroceranno di nuovo sugli Appennini, verso Firenze. Dante, saputo che i partigiani dei Bianchi, senza attendere l’aiuto del signore di Verona, sotto l’egida del Conte Ubaldini e con le truppe di Pistoia dei Guidi Ghibellini, hanno deciso di muoversi e attaccare i Neri,  sta tornando in Toscana a spron battuto nella speranza di riuscire a fermarli. Ma arriverà troppo tardi e il loro irruento e insensato attacco è destinato a fallire. Tanto che in un sanguinoso pomeriggio estivo, Dante, dopo essersi battuto come un leone, è costretto a fuggire con il volto celato da un cappuccio e  vagare per la sua Firenze, marchiata dai cadaveri dell’attaccanti, ammassati agli angoli delle strade, con le guardie armate dei Donati, in caccia dei superstiti per passarli a fil di spada.
Il Sommo Poeta, che ha messo in gioco la vita per seguire le tracce di Fra’ Guiscardo deve trovare un rifugio e nascondersi almeno fino al tramonto. Perché se qualcuno lo riconoscesse per lui per sarebbe la fine. Perché tutti a Firenze sanno chi è e vorrebbero la sua testa…
Dici Giulio Leoni e dici “certezza”.  Per forza. Un suo libro infatti, oltre a regalarti l’indubbio piacere di una bella e intrigante avventura, si trasforma sempre in una irrinunciabile lezione di storia e bella lingua.

 

Patrizia Debicke

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