Massacro all’anisette



andré héléna
Massacro all’anisette
aìsara
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Grégoire è in un pasticcio che toglierebbe a chiunque la sola voglia di uscirne. Con alcuni amici era in trasferta a Barcellona per vendere della cocaina. I compratori gli hanno fregato la cocaina, ucciso uno della banda e fatto fuggire il resto senza il becco di un quattrino. Non solo; i compagni di sventura lo hanno lasciato solo e sono partiti sperando di raggiungere la frontiera francese il prima possibile. E, visto che i mali arrivano sempre in compagnia cantante, si sono portati appresso la sua fidanzata spagnola.

Organizza una specie di resistenza. Non tanto per salvare la pelle e raggiungere anch’egli Parigi. Quella se ci riese la porta con sé il più possibile. Ma per addomesticare una rabbia che lo fa voltare da tutte le parti senza permettergli di tornare a guardare il mondo dall’ unica prospettiva che conosce. Che sarà anche limitata nel suo genere, ma che per lo meno gli consente una visione chiara su cose e persone. Dal titolo, rispettoso dell’originale francese, il suggerimento che ci si farà veramente molto male.

Scritto nel 1955 con pseudonimo femminile, Massacro all’anisette fu il romanzo con cui André Héléna radicò di nuovo la figura del gangster eroe che tanto piaceva al noir di stampo americano. Qui, nel pieno decennio del dopoguerra che si sta trasformando in boom, Héléna torna a Barcellona (c’era già stato combattendo il franchismo tra i Repubblicani) e con uno stile, se possibile ancora più asciutto, scheletrico e disidratato, ci mette davanti a uomini e donne che si accorgono di non capirci più niente delle loro esistenze. Che forse c’è un Dio sopra che passa il tempo a prenderli soavemente per i fondelli, cambiare le carte per poi “vedere l’effetto che fa”. Ne viene fuori un quadro di un lirismo pietoso da bagnarci gli occhi.

Héléna è unico nel dare dignità letteraria alle persiane chiuse e al cigolio delle scale che portano alle camere di un albergo. E ancor più inarrivabile nel tradurre in leccornie dei panini all’acciuga bagnati con una bottiglia di manzanilla. Qui impreziosisce tutto facendoci sentire il profumo della lavanda, della salvia e dell’anice che avvolgono Barcellona. E immergendoci nella solarità bestiale della città catalana, che spesso offre il suono di una chitarra per combattere la solitudine del vuoto più assoluto con il solo effetto però di aprire un buco che abbiamo dentro e che qualcuno ha definito nostalgia (per tutto, mica solo per la propria terra lontana o un amore sparito).

E allora giù bicchierini di anisette. In attesa che tradimenti e pallottole suonino il flamenco più furioso, requiem della condizione umana.

Chi lo perde è perduto.

corrado ori tanzi

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