Non sono un assassino – Francesco Caringella



Francesco Caringella
Non sono un assassino
Newton Compton
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Un’immersione in apnea la lettura di questo “Legal thriller”, così come viene definito. 
In effetti anche se Legal Thriller non è di facile comprensione, quando ci si addentra nella lettura di questo libro, si capisce il significato profondo della definizione. Anche se, secondo me, a tratti degrada ben volentieri nel noir. Il ritmo è lento, viene utilizzato l’espediente della narrazione in prima persona e i piani narrativi si intrecciano nei diversi momenti del racconto, senza ingenerare confusione nel lettore. Il tema degli errori giudiziari e della vita carceraria, oggi come mai di grande attualità, rimbomba da ogni capitolo, benché questo thriller è stato scritto nel 2014, pubblicato nel 2019, facendo dello scrittore un grande anticipatore delle tendenze moderne. Il finale è chiaramente prestato allo scopo cinematografico che alla fine della stesura, evidentemente, già baluginava nella mente dell’editor.

La storia è quella di un poliziotto, un uomo delle istituzioni, accusato di omicidio. 

Il primo che entra in scena è ovviamente il cadavere: una fredda e piovosa mattina d’autunno la domestica si trova davanti al ritrovamento del corpo del giudice Giovanni Mastropaolo, con la fronte bucata da un proiettile. Nella casa non ci sono segni di effrazione, benché il giudice sia stato impegnato nella battaglia contro la Nuova Camorra Pugliese questo non sembra un omicidio di mafia, anzi sembra il classico delitto senza movente. L’ultimo ad aver visto il giudice è il vice questore Francesco Prencipe, legato da antichi rapporti di amicizia e collaborazione professionale, ripreso dalla telecamera ad allontanarsi con la macchina a tutta velocità dalla collina in cima alla quale abitava il giudice.

Il protagonista è il classico antieroe, un uomo pieno di contraddizioni, un lupo solitario, che aveva commesso tanti sbagli, soprattutto nei riguardi della sua famiglia, la moglie Vittoria e la figlia. Un amante dei piaceri della vita e delle cose belle. Il ritratto di questo personaggio è davvero magistrale, tra l’altro ambientato a Bari, in Puglia, nel periodo autunnale, ove cucina, odori e natura creano un mix irresistibile. Per gli amanti del genere è un vero sollazzo dei sensi, col rimando alla cucina salentina: impepata di cozze, parmigiana di melenzane, riso patate e cozze, fave e cicoria e i riferimenti alla vegetazione mediterranea di fine estate: fichi d’india, oleandri, chicas, ibiscus. 

Dal ritrovamento del cadavere, all’ipotesi del delitto, all’inizio e svolgimento rapidissimo delle indagini e all’accertamento del responsabile i tempi sono strettissimi, per poi dilatarsi invece nella descrizione dell’ardua battaglia giudiziaria, nella minuziosità dei dettagli processuali, nell’arguzia dibattimentale che solo un addetto ai lavori come l’autore, può rendere con un modulo talmente aderente al vero, incalzante e angosciante da fare sentire il lettore davvero in trappola. Alcune descrizioni dei caratteri meritano nota. Uno per tutti il vicequestore Michele Monno, incaricato delle indagini, come tutti i superficiali dotati di un potere sproporzionato rispetto alle proprie capacità, non era in grado di cogliere le sfumature, il dubbio non lo sfiorava, solo certezze al suo attivo. Al contrario, il povero indagato Francesco Prencipe aveva un’unica certezza, che il suo domani dipenderà da un processo durante il quale ignoti giudici decideranno del suo futuro. 

Come anche la scelta del difensore tocca vette altissime, cade su Giorgio, vecchio compagno di scuola, non era certo un principe del foro, ma era un uomo buono, un avvocato rigoroso, un vero amico, occhi color castagne secche, età indecifrabile tipica di certe persone grasse, misogino. Anche del povero giudice assassinato l’autore ci sollazza con una descrizione che fa di lui, la vittima perfetta e ci permette di empatizzare con chi ricerca a tutti i costi un colpevole. Giovanni Mastropaolo, mattiniero, eroe del tribunale, seguace del rituale del cappuccino, amante dello spirito di squadra, che si cementava camminando sottobraccio con uno degli uomini della Polizia Giudiziaria, come segno inequivocabile della complicità priva di gerarchie. Lavorava meglio nelle ore notturne. Il momento più bello? Quando capiva che l’imputato era innocente. Altro capolavoro la PM Maralfa, occhi verdi, smalto blu e arroganza che deriva dall’esercizio sterile del potere. 

A questo punto credo, con ragionevole certezza, per seguire il modulo narrativo dell’autore, che sia il caso di riflettere quanto rivelatrici siano le sentenze in merito alla vita carceraria, allo stato d’animo del detenuto, alla certezza che il carcere faccia di te un altro uomo e che i pensieri mentre sei in carcere non sono quelli di un uomo libero, ma possono solo attenere al presente e riguardare i problemi pratici, ossia a come poter sopravvivere in carcere. Quanto sia fattuale la coesistenza di tante verità circa un fatto accaduto e quanto sia importante il non considerare la verità processuale come unica verità fondante che decida del destino di una persona. 

Poi ci sono tante riflessioni sulla fallacità delle certezze e i tanti espedienti utilizzati dagli avvocati nei processi per discolpare l’imputato, come quella UCTC, nota tecnica descritta nei trattati di procedura penale per cui se un teste comincia a mentire e la menzogna è dimostrabile, viene intaccata la sua credibilità e tutta la sua deposizione verrà messa in dubbio. Così se l’accusa si basa solo sul testimone oculare e non ci sono prove come il ritrovamento dell’arma o le impronte digitali, viene ribaltata la tesi accusatoria e si ricomincia daccapo. “Una Cazzata Tante Cazzate”. 

Non Sono Un Assassino è una lettura davvero alta e al tempo stesso avvincente per addetti ai lavori e non, un incubo senza fine dalla trama ben congegnata.

Valeria Arancio

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