Una minuscola isola a sudest di Stoccolma. Inverno 2002. Barba lunga, occhi infossati e capelli spettinati, dal 1991 il sessantaseienne Fredrik Welin si è ritirato da eremita ateo con vecchi cane e gatto. Prima faceva l’elegante chirurgo ortopedico, fino a un catastrofico errore che sta segnando la sua vita. I genitori sono morti da tempo, il padre devastato dalle metastasi, la madre dopo un lungo ospizio (visitata una sola volta). In dodici anni ha ricevuto una lettera (il Comune gli aveva riservato una tomba). Scrive un diario sui piccoli eventi del clima e della contingenza. A sorpresa, il 3 gennaio arriva la donna, commessa in un negozio di scarpe, che aveva abbandonato nella primavera del 1966, partendo per gli USA senza salutarla e non cercandola al ritorno. Si chiama Herriet Hornfeldt, ha 69 anni, gira con un deambulatore, soffre per un cancro incurabile, gli chiede di rispettare la promessa di farle vedere uno splendido laghetto senza nome nel Norrland. Prima vuole che visitino la figlia Louise (nata all’inizio del 1967), che vive molto a nord, a Hudiksvall, dove scrive lettere vicino a un calzolaio italiano. Partono. E tornano. La vita è pluralista nelle svolte.
Henning Mankell (1948-2015) è stato forse il più grande giallista svedese, scrittore intenso e prolifico che per decenni è vissuto come un individuo di specie migratoria, per buona parte dell’anno in Mozambico, regista e fondatore direttore del teatro Avenida di Maputo. Sposato con Eva Bergman (figlia di Ingmar), ha scritto oltre quaranta libri (il primo nel 1972), di tutti i generi, molti con ingredienti e riferimenti al nostro paese. Questo del 2008 (originale del 2006) è un sapiente romanzo dell’amore, quello degno di essere vissuto, narrato in prima, poco romantico, con tanta Italia, non solo ai piedi. In copertina la nevosa illustrazione mostra il deambulatore (ma non le scarpe, nel testo associate alla grande bellezza di Roma). Segnalo l’inquinamento luminoso a pag. 128. Si mangia arrosto di lepre, spezzatino di alce, zuppe fumanti. Figlia e padre parlano di Caravaggio. Musica classica e anni cinquanta, decisiva nel processo creativo e nella relazione affettiva: Fred e Herriet ballarono spesso insieme a Stoccolma “Non ho l’età” di Gigliola Cinquetti.