Banville può essere considerato un grande scrittore? Sì, per il fascino della prosa, fredda ed elegante, per la puntualità delle descrizioni, per la facilità dell’indagare nell’animo umano.
Questo è dunque un libro da consigliare? No, perché il genere, ogni genere, ha le sue regole, i suoi comandamenti, che vanno rispettati per non deludere il lettore.
Cosa che il celebre irlandese si guarda bene dal fare, dilatando all’inverosimile il già esile filo conduttore, la morte misteriosa di una bella popolana inquieta, tanto che, a tratti, quasi ci si dimentica dell’indagine in corso. Naturalmente un libro può rivelarsi affascinante anche (o forse soprattutto) quando rompe i confini del genere. Purtroppo ciò in questo caso non accade. E pure Quirke, il tormentato patologo protagonista (come nel romanzo precedente, Dove è sempre notte, decisamente migliore), è figura di sfondo di cui annoiano i tormenti. Unica nota interessante la figlia di Quirke, Phoebe, temprata dalle relazioni di un nucleo familiare complesso e di cui è un piacere sbirciare l’anima.
P.S. Per Banville si sussurra perfino di un possibile Nobel, dovuto pure alle sue incursioni nel genere, sarebbe non la prima ma una delle maggiori cazzate da parte della pregiata giuria.