Voglio contagiare i lettori con il mio divertimento. Intervista a Marcello Simoni.

MilanoNera ha avuto il piacere di fare qualche domanda a Marcello Simoni, attualmente in libreria con La prigione della monaca senza volto, Einaudi, terzo capitolo della serie con protagonista Girolamo Svampa.
8131ighFZ7LBen tornato Marcello e ben tornato Girolamo Svampa anaffettivo, asociale domenicano inquisitore al servizio del Sacro Uffizio. Ma stavolta basta con Roma a parte pochi tocchi di cornice. Si passa a Milano dedicando qualche puntatina anche altrove. Abbiamo la ferrea mordacchia editoriale di non spoilerare la trama. Ci limiteremo quindi a scavare intorno all’osso, ops perdona Marcello, l’amica burlona, intorno al tesoro contenuto nella storia. Qual è la stata la molla che ti ha spinto a scegliere di cambiare location? Insomma a spedire Svampa nella nebbiosa pianura padana?

Dopo due romanzi ambientati a Roma, sentivo il bisogno di un cambio di scena. I miei lettori mi conoscono, hanno familiarità con la mia “narrativa itinerante” e sanno bene che raramente una mia trama inizia e finisce nello stesso luogo. Oltretutto, mi affascinava l’idea di portare lo Svampa al di fuori della sfera dell’influenza papalina e del Sant’Uffizio, “in trasferta” per così dire, in modo da poter mettere meglio in evidenza le sue peculiarità umane rispetto a quelle di indagatore domenicano. Se infatti la Milano del Seicento è sede inquisitoriale, è anche vero che questa città e il suo clero, all’inizio del XVII secolo, è fedele al re di Spagna. Per giunta, l’indagine che questa volta lo Svampa dovrà svolgere non è ufficiale: dovrà muoversi in anonimato, travestito da laico.

L’avvicinamento a fine novembre di Svampa in incognito a bordo di un grande burchio (leggasi barca fluviale a fondo piatto per trasporto di merci) su una diramazione del Ticino lo porta vicino ai bastioni di Milano in vista di un accampamento militare che gli dà la brutta impressione di una città sotto assedio. Secondo la tua descrizione: «Il burchio nel frattempo procedette senza intoppi lungo i dossi guardati dalle sentinelle, finendo per attraccare ai margini di una grande darsena che si apriva a ventaglio contro le fortificazioni»… e concludi mestamente: «L’inquisitore le fissò per un attimo, poi s’incamminò col resto dei passeggeri verso una passerella collegata alla terraferma». Uhm poco allegra come atmosfera. Spiegaci meglio. Cos’era e come era la Milano spagnola di allora? Quanto era rimasto del rinascimento visconteo e sforzesco?
La Milano del primo Seicento è la città perfetta per ambientare un romanzo gotico. L’aria che vi si respira è pesante, sovrastata dallo spettro del conte Olivares e dalle voci sul documento segreto che il consigliere del re di Spagna definiva “unione d’armi”, ovvero il progetto di reclutare soldati in ogni dove per unificare un grande esercito al servizio di Ferdinando II d’Asburgo. Milano, inoltre, è all’epoca una città d’acqua, circondata e solcata da navigli, ma cinta da possenti mura erette proprio dagli spagnoli e loro peculiare simbolo di dominio. L’aspetto che maggiormente mi ha colpito di queste contrade nebbiose, labirintiche e ancora odorose delle epoche passate, è però il più intimo e difficile da cogliere: quello della reclusione femminile, che in età moderna si fa particolarmente tetro.

Come funzionava, se funzionava, la gerarchia politica economica e religiosa sotto la dominazione spagnola e dove risiedevano i governatori?
Funzionava come una macchina lenta, fatiscente, scandita dai ritmi della burocrazia, dai rapporti amicali e di interesse reciproco. Un po’ come oggi, in sostanza. La percezione del vero potere – quello dei governanti – era astratta, quasi dogmatica, in quanto proveniva da molto lontano e veniva manifestata in terra milanese da uomini fantoccio, ovvero i viceré.

Cosa ti è costata in termini di ricerche, studi e tempo questa nuova intrigante ambientazione?
Ti basti sapere che ogni volta che inizio a lavorare a un nuovo romanzo la mia biblioteca personale si arricchisce di almeno venti nuovi libri di saggistica, senza contare la mia scrivania, che viene letteralmente sommersa da cartelle d’archivio, appunti, cartografie e schizzi d’ogni genere.

Pensi e speri anche tu come me che i romanzi storici d’avventura possano riavvicinare una platea di lettori e magari dei giovani alla storia che pare diventata la cenerentola della cultura italiana?
La speranza è l’ultima a morire. Ambientare le mie trame in epoche passate nasce prima di tutto dal divertimento e da una forma d’incanto che mi auguro possa contagiare e incuriosire i lettori. Del resto la storia è il tesoro più prezioso del nostro Paese, più ancora dell’arte e di qualsiasi altra forma di espressione umana, e questo perché è dalla storia che nasciamo ed è attraverso la storia che ci evolviamo. Vedere svilita questa disciplina mi mette paura, perché in tanta indifferenza scorgo il pericolo più grande dell’umanità: l’ignoranza, l’unica malattia i cui portatori non vogliono essere curati nemmeno quando si trovano allo stadio terminale. Credo che la medicina più efficace sia una riforma coscienziosa della scuola.

DSC_6559Non amo i Borromeo e l’ho detto chiaro e forte nella mia recensione. E sicuramente non il nasuto Carlo. Bigotto e crudele divulgatore di un bieco cattolicesimo privo di ogni pietas. Cosa puoi attribuire di positivo a Federico Borromeo (a parte gli osanna manzoniani)? Ce la fai?
Qualcosa di molto poco “santificante”: il suo trattato sulle manifestazioni demoniache. Federico Borromeo, agiografo ma anche persecutore di untori e di presunte streghe, scrisse un’operetta enciclopedica in cui il prelato diede sfogo alla sua curiosità per le tradizioni folkloriche, esotiche e classiche riguardanti il diavolo. L’ho letta tutta d’un fiato, e ne ho utilizzato in parte i contenuti nel mio romanzo.

Ogni tanto, leggendo del tuo Svampa e molto del tuo Capiferro penso a Giordano Bruno. Nessun rimando, neppure occasionale al grandissimo scrittore e filosofo domenicano?
Se ti ci ho fatto pensare, vuol dire che sono riuscito nell’intento. Credo che a volte un romanziere debba saper veicolare certi argomenti in modo implicito, “tra le righe”.

Quanto erano simili alle peggiori prigioni di oggi i monasteri milanesi nel 1600.
Se diamo uno sguardo alla clausura femminile, i monasteri erano senz’altro peggio.

Se dovessi avvicinare Svampa a un protagonista dei tuoi precedenti romanzi quale potrebbe essere?
Spero a nessuno. Ogni volta che do inizio a una nuova serie di romanzi, mi sforzo di creare un protagonista unico e irripetibile. Ciò nondimeno lo Svampa è un uomo di grande intelligenza, e in questo si avvicina senz’altro a Ignazio da Toledo.

Siamo al terzo libro. Svampa sta cambiando, forse il contatto con Capiferro gli è salutare e soprattutto pare che stia venendo a patti con il laudano. C’è da crederci?
Di certo lo Svampa è cambiato. Se resta fedele al personaggio che nasce nel Marchio dell’inquisitore, manifesta nei romanzi successivi della serie un’evoluzione emotiva necessaria non solo alla sua dimensione umana ma anche alle avventure che vivrà in futuro. Detesto i personaggi seriali statici perché, oltre a non essere credibili, risultano enormemente noiosi.

Nel romanzo si parla del sale di Alembroth, a cosa serve veramente?
La parola Alembroth, o “Sale dei Saggi”, compare già in un testo legato a Paracelso e secondo alcuni deriverebbe addirittura dal caldeo. Alcuni alchimisti-anatomisti dell’età moderna attribuiscono questo nome a un ingrediente tanto misterioso quanto fondamentale per ottenere un siero in grado di “pietrificare” i tessuti biologici, quindi anche i corpi umani. Simili esperimenti di mummificazione (o di cristallizzazione) sono stati tentati molte volte nel corso della storia, a volte con successo (si pensi a Girolamo Segato) e a volte approdando in falsi clamorosi come quello della Cappella di Sansevero.

C’è una congrega segreta della quale farebbero parte i negromanti? Prima di scoprire il legame tra Saluzzo e il Cesare Torrefosca, Svampa infatti era venuto a conoscenza dei rapporti di amicizia tra l’assassino di suo padre e una congrega di alchimisti romani che si fregiavano del nome di Rosacroce, il leggendario ordine segreto ermetico cristiano. Ci diresti qualcosa di questi famosissimi Rosacroce?
La presenza delle congreghe segrete, nei miei romanzi, esprime la nostra inesauribile sete di mistero. Cercare una verità nascosta, immaginare cosa potesse celarsi nei risvolti oscuri della storia e chiedersi se una qualche confraternita occulta sia sopravvissuta fino a oggi è il mio/vostro rovello. Ed ecco perché i Rosacroce. Ecco perché i libri di esoterismo. Ecco perché i riferimenti a una tradizione alchemica che affonda le radici in epoche precedenti al Medioevo. Tutto quel che conosco al riguardo lo riverso nei miei romanzi, che in parte rappresentano delle vere e proprie indagini personali, perciò preferisco non rispondere e lasciarvi la curiosità. Volete sapere quel che ho scoperto? Allora seguite le indagini dello Svampa!

Parlando del Viaggiatore, l’inafferrabile uomo corvo, ma insomma da che parte sta? Si può sapere?
Il Viaggiatore non è né buono né cattivo: è un essere umano, come tutti noi, ma agisce secondo disegni imperscrutabili. Egli non rappresenta il “lato oscuro della Forza” (come del resto non credo nell’esistenza di un “lato buono”), bensì un grado di consapevolezza che si raggiunge soltanto attraverso una grande intelligenza e una grande sapienza.

E ora domanda a trabocchetto. Ma non certo per te. Su tu dovessi descrivere Girolamo Svampa a un uditorio smaliziato, quali sono i suoi maggiori pregi? E i suoi peggiori difetti?
Credo che gli uni coincidano con gli altri. Lo Svampa è un personaggio estremo e lo resterà sempre. Acuto, scorbutico, in perenne lotta con se stesso. Il mio incubo più grande sarebbe vederlo trasformato in un banale cavaliere dalla bianca armatura.

Grazie Marcello avanti tutta e auguri di grande e meritato successo.
Grazie a te! Ricambio 🙂

La foto di Marcello Simoni al NebbiaGialla è di @Michele Corleone

Patrizia Debicke

Potrebbero interessarti anche...