Sei racconti, una cavalcata infernale che vede a protagonista e filo conduttore Russel Kane, il dottore, il master sniper dannato, il contractor, il quasi robot.
Una apocalisse annunciata come la citazione quasi alla fine del primo Dry thunder: Vidi sette angeli che avevano flagelli. Nessuno mi impedirà di pensare che l’esplosione della piattaforma BP nel Golfo del Messico sia la causa incidentale dell’orgia di petrolio e sangue che invano forze britanniche scelte, guidate addirittura da un membro della famiglia reale tentano di arginare nel primo, ma cronologicamente ultimo dei racconti.
Ma Kane interviene…
Siamo in flash back con Monsone, una rimpatriata più convenzionale si fa per dire, di Kane con il Professionista, l’eroe di Di Marino, dove l’apocalisse torna ripetendo una citazione: Vidi un angelo che scendeva dal cielo con le chiavi dell’abisso.
Religiosamente compunti arriviamo alla liturgia dei defunti citata per Joshua Tree, dove Russel Kane deve districarsi dalle spire di una maliarda per affrontare il dilemma letale, che si rivela un ‘affaruccio’ di famiglia a molti zeri nel deserto del Mojave.
L’inferno afgano che da secoli, come Moloch, tutto inghiotte e divora uomini e cose è l’indiscusso comprimario che ci accompagna nel: L’artiglio del diavolo.
Poi Family Day, racconto lungo o romanzo breve, esecrabile allarme sul disfacimento della famiglia, dove per un istante il giuramento di Ippocrate rende umano il nostro eroe, coinvolto nel gioco al massacro di un miliardario moribondo e la sua orrida progenitura. Si chiude con Zona Zero, di sapore esoterico, fantascientifico, ultima spiaggia dove la coscienza e il fantasma del rimorso conducono al nulla del terrore lungo la tragica autostrada della morte.
Killzone
patrizia debicke