Intervista inedita a Carlo Sgorlon

Carlo Sgorlon tra pochi giorni avrebbe dovuto ricevere il Premio Chiara alla carriera che gli era stato conferito dall’ Associazione Amici di Piero Chiara.

Lo avevo contattato nella sua casa di Udine qualche tempo prima che venisse ricoverato in ospedale. Questa è forse l’ultima intervista rilasciata da Sgorlon che era particolarmente felice di ricevere questo premio perché aveva conosciuto personalmente Piero Chiara e con lui aveva intrattenuto rapporti di amicizia testimoniati anche dalle lettere contenute nell’epistolario di Chiara pubblicato nel 2006.

Le ha fatto piacere ricevere il Premio Chiara alla Carriera?
Sono estremamente grato a chi ha pensato a me e alla mia carriera, anche se ormai i numerosi premi vinti mi hanno abituato all’emozione.

Conosceva personalmente Piero Chiara?
Si, l’ho conosciuto nel 1973 quando avevo vinto il Super Campiello. All’epoca collaborava con il premio facendo una preselezione dei libri uno svizzero, Sergio Grandini, amicissimo di Chiara che me lo aveva presentato e lo aveva portato diverse volte a casa mia.
Siamo diventati subito amici, si faceva amare per la verve per il suo modo di raccontare oralmente. Aveva esordito come narratore orale, Vittorio Sereni lo aveva esortato a scrivere perché suscitava divertimento e compiacimento negli ascoltatori.
A 49 anni pubblicò La Spartizione che ebbe successo e continuò su questa linea. E’ raro che uno scrittore cominci a farsi notare come narratore orale e trovi una casa editrice disposta a leggere i suoi testi e a pubblicarli.
Ora gli scrittori iniziano a scrivere a 20 anni e a 25 vorrebbero già aver avuto successo. Chiara era diverso dagli scrittori di oggi.

Vi siete incontrati spesso?
Si, è venuto molte volte a Udine a casa mia, lo avevo anche invitato a tenere una conferenza. Aveva accettato perché era sensibile all’amicizia. Mi scriveva lunghe lettere, era più paziente di me che gli rispondevo con bigliettini perché gli epistolari non mi attirano, preferisco dedicare la mia scrittura alla narrativa. Le conserva mia moglie che è la mia archivista e fa per me le cose per cui non ho tempo o inclinazione.
Anni fa avevo dato le fotocopie a Serena Contini che aveva raccolto l’epistolario di Piero Chiara. (n.d.r. ne Il cammino degli anni e delle lettere – Alberti Editore).

Fino a quando siete rimasti in contatto?
Lo vedevo tutti gli anni perché faceva parte della commissione del Campiello e io ci andavo sempre, l’ultima volta che l’ho visto era malato, molto dimagrito. Non parlava mai della malattia e di cosa gli stava capitando, era un argomento escluso. Non ne accennava neppure sui giornali. Aveva una grande forza d’animo, la capacità di osservare ciò che accadeva e di risolvere le cose in chiave umoristica dissimulando sotto un velo di ironia le cose spiacevoli.

E’ mai stato a Varese?
Solo una volta, circa 25 anni fa. Ero stato invitato a tenere una conferenza da un circolo cattolico che mi apprezzava perché sono uno scrittore che non viene a patti con la morale, non ho mai fatto concessioni a nessuno sul piano dogmatico e dell’etica.

Quale dei libri che ha scritto ama di più?
E’ naturale per uno scrittore amare tutti i propri libri, sono come figli che danno maggior senso e spessore alla vita. Il più letto e ristampato è stato Il trono di legno, giunto alla ventiseiesima edizione, un libro ottimamente riuscito anche se le problematiche sono cambiate nel modo di pensare e di e sentire.
Non sono un cronista e sono rimasto fedele all’epica che richiede invenzione impastata con i fatti del nostro tempo, quelli che coinvolgono un gran numero di persone e che si ha la sensazione che valga la pena di raccontare.

ambretta sampietro

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