Affresco familiare



Marco Dibenedetto
Affresco familiare
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«C’era qualcuno che diceva che quando si è bambini le fiabe incominciano con “C’era una volta”,
quando si è grandi con “Se sarò eletto”».
In una Torino ritratta durante la settimana frenetica del rito per l’elezione del sindaco, il cadavere di Luisa Lovisolo, figlia primogenita del candidato schierato dal fronte di centrosinistra, fa la sua drammatica e sanguinosa comparsa in una sera di domenica. Per l’ispettore Rubatto, giunto alla sua sesta indagine letteraria, Marco Lovisolo non è esattamente uno sconosciuto. È un amico d’infanzia perso per strada dopo una brutta faccenda: un favore fatto che ha infranto per sempre l’innocenza del poliziotto.
Marco Dibenedetto utilizza il suo nuovo giallo per descrivere la coltre di cinismo e menzogna che ricopre la politica a tutti i livelli, rappresentandola attraverso le azioni di Giulio Larocca e Luca Monterosso, strateghi della campagna di Lovisolo che non esitano a usare la morte della figlia come strumento per sfondare nei sondaggi, e quelle dell’avversario Giorgio Bottecchi, freddo manovratore dei bassi istinti della plebe come nella peggiore tradizione della più turpe destra italiana. Non c’è però differenza agli occhi di Rubatto/Dibenedetto: i politicanti dicono e promettono tutti le stesse cose, utilizzando parole diverse.
Passano i giorni e si susseguono gli interrogatori, il giorno del redde rationem elettorale si avvicina ma le indagini sembrano arenate e nemmeno con l’aiuto del sovrintendente Stafano e dell’agente scelto Aceto, Rubatto riesce a spazzare via la nebbia che nasconde la verità dietro l’omicidio di Luisa Lovisolo. In mezzo alle discussioni senza sosta che coinvolgono i tre membri della PS su ogni tipologia di argomento – dalla direzione che dovrebbe prendere l’indagine a quale sia la maniera migliore per passare la pausa pranzo -, si moltiplicano i bicchieri di vino bianco rigorosamente della casa di cui Rubatto non può fare a meno per allentare la pressione.
Il complicato brainstorming tra l’ispettore e i sottoposti comincia lentamente a dare i primi risultati e mostrare la strada verso la soluzioni del caso, con – ça va sans dire – la mente di Rubatto sempre un passo avanti rispetto a quella dei sottoposti. Il colpo di scena finale evidenzia la visione pessimista di Rubatto/Dibenedetto verso un mondo dove non esistono innocenti e dove anche gli agnelli trovano la dose di perfidia sufficiente per trasformarsi in lupi.

 

 

 

 

Thomas Melis

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