Argentina (seconda parte)

Argentina o Italia? Quante volte le parole di chi incontravamo ci riportava a casa. “Mio nonno era italiano, arrivava dal Piemonte”, “Mia nonna era abruzzese”, “Il mio bisnonno era siciliano”: qualcosa è rimasto, non solo nei tratti somatici e nei comportamenti. C’è molta Italia anche nel temperamento, nell’orgoglio, nella creatività e nell’ingegno. C’è n’è voluto e ce ne vorrà ancora di quel talento profondo: gli ultimi anni sono stati tutt’altro che facili. Un giorno, gli argentini hanno scoperto che quella parità tra peso e dollaro, imposta dal governo a lungo come scelta radicale, era tutt’altro che logica e reale. Un fallimento. Con la conseguenza più drastica. Da un giorno all’altro tutti i risparmi depositati in banca avevano perso metà del loro valore. Qualcuno sostiene che in Sud America sono cose che accadono spesso: le valute sono volatili e sentono la direzione del vento. Sarà. E sarà forse che l’orgoglio argentino si sentiva al riparo da queste dinamiche, così la sorpresa, quando è arrivata, è stata ancora più grande.

Da sud a sud, siamo arrivati anche a Rio Gallegos. Da lì siamo partiti per visitare la riserva naturale di Cabo Virgenes – passando attraverso i 95.000 ettari della estancia di Benetton – dove i pinguini di Magellano ti aspettano …a palme aperte. Trenta, quaranta, cinquantamila. Impressionante sapere che dietro quelle piante basse ce ne sono così tanti. Svernano qui, si riproducono e poi ripartono , quando arriva il freddo, verso il Brasile. La guida ti spiega e resti basito di fronte a questo immenso trasferimento organizzato, costante, annuale. In silenzio, mentre il vento non cessa un attimo di soffiare, pensi alle nostre partenze intelligenti, quando ci si ritrova tutti insieme in coda sull’Autosole, nel mese di Agosto. Qual è la razza evoluta?
In Argentina si viaggia con il pulmann. A discrezione si sceglie la cama e la semi-cama (poltrona allungabile di un tot o allungabile di tanto, quasi a diventare un lettino) e di notte si percorrono centinaia di chilometri. Ti addormenti a Rio Gallegos e ti risvegli a Puerto Madryn, molti chilometri più a nord. Nelle stazioni degli autobus lo spettacolo si ripete: da noi accade alle stazioni, meno agli aeroporti. Qui vengono tutti a salutare chi parte, a cogliere l’ultimo sguardo dal finestrino, a invidiare un po’ chi può partire, per scoprire qualcos’altro di questo immenso, bellissimo paese. Da Puerto Madryn si parte a visitare la Penisula Valdez, dove ovunque tengono a farti notare che per alcuni mesi all’anno, in quella parte di Oceano, arrivano le balene. Anche le orche, se è per quello, ma siamo nei mesi sbagliati. Così, ci accontentiamo di guanachi, pecore, leoni ed elefanti marini e i furbi armadilli, che senza alcun problema, si intrufolano tra gli esseri umani alla ricerca di cibo e di altri generi di comfort.
Ancora strada, tanta, sotto i nostri piedi. Una mattina siamo arrivati a Bariloche ed è stato buffo convincerci che non eravamo affatto in Svizzera o in Alto Adige. Eppure c’è tutto quello che serve per crederlo: le montagne, i laghi, i fiumi, gli chalet e i ristoranti con le bandiere dei cantoni. C’è anche un supermarket del cioccolato! La zona è davvero molto bella e gli argentini ci passano le vacanze: il clima non è soffocante d’estate, in inverno si può sciare e c’è quella atmosfera lieve di relax che non fa male. Costeggiando le Ande, siamo arrivati anche a Mendoza, dove ci aspettava una mega Festa della Vendemmia, ma soprattutto due cari amici, Juan e Jorge, che oltre a farci buona compagnia ci hanno permesso di conoscere la città da altri punti di vista. Altri, in tutti i sensi. Il tempo è passato in grande armonia: ci sembrava di essere lì da sempre, di conoscere quelle vie, quei parchi, quella strada che porta in Cile, attraversando la maestosità delle Ande. Siamo arrivati nei giorni in cui la città festeggia la vendemmia nuova, con tre giorni di canti, sfilate, balli e spettacoli: il clou è l’elezione di Miss Vendemmia e così le bellezze della provincia si sfidano in una serata in diretta tv. Volevamo anche portare un omaggio all’Aconcagua, la vettà più alta d’America, ma era giorno di nuvole basse. Così, ci siamo accontentati di riscaldare i piedi al Puente de l’Inca, amena località montana, dove c’è quel che resta di un vecchio centro termale. Fuori faceva un freddo boia, ma almeno i piedini erano al caldo.

La terza e ultima parte del viaggio verrà pubblicata la prossima settimana.

daniele charam per \"samadhi\"

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