La stagione dei ragni – Barbara Baraldi




La stagione dei ragni
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C’è sempre una storia che vale la pena raccontare. Risalire la notte dei tempi, per soffermarsi su quel che è stato e comprendere al meglio quel che sarà. Un principio che vale anche per la narrativa, quando in gioco c’è un personaggio forte. 
L’intuizione geniale di Barbara Baraldi è stata proprio di andare a monte. Sospingersi a quando la sua Aurora, profiler in un commissariato della provincia emiliana e protagonista della fortunata trilogia, stava per nascere. Sebbene ancora priva di un nome, era già una presenza costante nei pensieri di mamma e papà. 
Muoversi a ritroso nel tempo è un processo che pochi giallisti hanno seguito. È più usuale, al contrario, assistere a un passaggio di testimone alle nuove generazioni. E qui si potrebbe citare Lucy, come pratico esempio, la nipote di Kay Scarpetta. Da scricciolo biondo, che muoveva i primi passi a casa della zia, è diventata adulta, addirittura in appoggio alle indagini più complicate della celebre anatomopatologa, nata dalla fantasiosa penna di Patricia Cornwell. 
Ebbene, in questo ultimo romanzo di Barbara Baraldi, accade il contrario.
La stagione dei ragni è la prima indagine che ha per protagonista il magistrato Francesco Scalviati, in trepidante attesa, insieme all’umorale moglie Greta, di diventare padre. Siamo a Torino, al termine di  un’estate particolarmente frenetica, ovvero quella del 1988. Un numero infinito di ragni ha colonizzato il ponte Vittorio Emanuele I: miriadi di ragnatele sul parapetto, se non è anomalo questo! Sono i mitici anni Ottanta, ricostruiti con perizia nei particolari dall’autrice, che permettono a chi li ha vissuti un piacevole tuffo nel passato. Anni che ineluttabilmente mancano e che, nonostante il tema truce, è bello rievocare. La felpa della Best Company; Self control di Raf, quale colonna sonora di un nostalgico ritorno agli anni della giovinezza. E chi li ha più scordati? 
Torino, probabilmente la più esoterica fra le città italiane, è sconquassata da una serie di omicidi efferati, l’ultimo dalle parti del Pian del Lot. Sono altresì gli anni in cui un mostro, uccisore di giovani coppie, appartate in zone isolate ad amoreggiare, ha messo fine si nostri sogni spensierati.
Un’epoca in cui i computer si stavano affacciando, ma non erano ancora universalmente condivisi. Anche in Italia si orecchiava un termine, serial killer, e diventava di moda, mentre dall’America si delineava la figura del profiler, in grado di approntare un identikit dell’assassino analizzando la scena del crimine, il cosiddetto modus operandi
In questo romanzo corale, tanti sono gli omaggi disseminati ai grandi del periodo, non ultimo Dario Argento che proprio a Torino ci ha spaventato un sacco di volte. Ogni soggetto meriterebbe un suo esclusivo spazio. Il pacato commissario Costanza; l’intrepida giornalista Leda De Almeida; lo scrupoloso analista dell’FBI Isaak Stoner. Ciascuno potrebbe bastare per costruire un romanzo forte, sebbene qui si alternino sulla scena e infondano un buon ritmo. 
Il magistrato Scalviati, con tutte le sue fragilità di uomo, incarna l’immagine dell’incorruttibilità. Granitico, così come potevano essere Falcone e Borsellino; diviso fra il lavoro e la famiglia e animato dal senso del dovere. Come se una presenza oscura si fosse infiltrata nel ventre della città e lui fosse l’unico in grado di percepirla. 
L’intreccio è particolarmente articolato, tiene avvinto il lettore per tutto il tempo. Si sprofonda in una spirale maligna, dove talvolta si teme per la sorte dei protagonisti. Un caso insidioso, che si rivela pericoloso per la loro incolumità. Come i ragni sul parapetto, nell’ombra tesse la sua tela un assassino perverso, astuto. E scoprirne l’identità sarà una sfida.
Tanti sono i colpi di scena, in una storia ben scritta, appassionante. E alla fine, dopo più di cinquecentosessanta pagine, che si divorano, ci si ritrova a sperare che quei “cristiani”, che ormai avevamo imparato a conoscere, tornino presto a farci compagnia. 

Cristina Biolcati

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