Avatar: avanti i cloni

Alzi la mano chi, almeno una volta, non ha sognato di svegliarsi nella vita o, ancor meglio visti i tempi, nel conto in banca di un altro.
Bene: creare un proprio io parallelo scegliendo un’immagine per rappresentare la propria utenza all’interno di una comunità virtuale, è prassi accettata dall’etichetta del web. Gli internauti chiamano questa forma di alter ego avatar.

Il lungimirante James Cameron, primatista dei kolossal hollywoodiani, aveva visto lontano. Subodorando il successo che sottendeva una guerra dei mondi con giganti dall’animo sensibile contro cinici marines a capo di orde di robot. Le prime ottanta pagine della sceneggiatura di Avatar, liberamente ispirata dalla saga letteraria John Carter di Marte scritta da Edgar Rice Burroughs, erano arrivate sulle scrivanie dei dirigenti della 20th Century Fox già nel 1995.
Allora i magnati della pellicola preferirono affidare un progetto che, colando a picco, accrebbe la già consolidata fama di Cameron. Al grido di: “Sto volando, Jack”, orde di ragazzine si immedesimarono nella love story che affondando vide il suo successo.

Quindici anni dopo la situazione non è così diversa. Al posto della prua del transatlantico dove una ragazza in crinolina sospira all’Oceano, il laboratorio di una navicella spaziale in cui Jake Sully, paraplegico in stato di trance, sussurra: “ti vedo”, ad una puffetta resa gigante a botte di steroidi. Obbiettivo della missione, supportata dalla security americana, colonizzare Pandora, pianeta dove la mancanza di aria costringe i terrestri a trasformarsi in Avatar, ibridi tra umani e i Na’vi. Sully sbarcherà su Pandora si innamorerà della valchiria blu figlia della Silicon Valley, e si metterà contro i suoi che, in cambio di un report di soffiate, si erano impegnati a provvedere alla costosissima operazione per restituirgli l’uso delle gambe. Ovviamente c’è un happy ending che non sveliamo preannunciando solo che è così retorico da essere immeditato perfino ad un bambino di prima elementare.

Per sintetizzare, il kolossal di Cameron non è che una guerra dei mondi in cui lo stillicidio di razze è compiuto dai terrestri ai danni dei giganti color cobalto in un paradiso perduto di miltoniana memoria. Niente di nuovo sotto questo sole. Il drammatico è che il polpettone fantascientifico, che trasporta lo spettatore all’interno di un caotico videogioco blu, sta sbancando i botteghini avvicinandosi con una rapidità impressionante al primato di Titanic.

Seguire il film con gli occhiali magici che trasformano un fotogramma appiattito sul fondo in un mostro tridimensionale mi avrebbe probabilmente aiutato ad interpretare meglio il senso di quel’ ”io ti vedo”. Io non ho visto molto in questa pellicola e quel poco mi è sembrato incommensurabilmente inferiore al successo del1995. Meglio volare che vedere: la messa e fuoco non è un’opinione. Parola di miope.

bea buozzi

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