Il cameriere di Borges



Fabio Bussotti
Il cameriere di Borges
perdisa
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Flavio Bertone, commissario di polizia a Roma. Un’ex moglie, Giuliana, ancora innamorata di lui e da sempre nei sogni di Alvaro Mostocotto, questore in odore di diventare prefetto, nonché terzo del trio ai tempi dell’Università, quando i protagonisti erano giovani, belli e forti. Un giorno come tanti altri, nella vita del commissario entra Vincenzo Binetti, distinto signore di quasi ottant’anni, suo vicino di pianerottolo, che gli chiede una cortesia: per il tempo che lui sarà a Palermo, può conservargli una busta? La pallina di neve che scende dall’alto del monte e si trasforma in valanga. Sì perché la vita di Binetti verrà sconvolta. Dal fantasma di Jorge Luis Borges, da quello dei desaparecidos degli anni di Videla, dai servizi segreti argentini. Ma soprattutto da tale Evaristo Torriani, ex sodale di Che Guevara, agente dei servizi segreti, ladro, cameriere dell’immenso letterato argentino. Uno, nessuno e centomila, che Pirandello ci perdoni. Chi vuole cosa? E perché tutto ‘sto flipper messo su ad arte in cui la pallina continua a essere il commissario Bertone? La presenza di una nuova donna, la spagnola Mafalda, nel cuore ormai del protagonista potrebbe rendere la vicenda meno amara. Potrebbe. Costruito con una trama eccellente, vivificato da personaggi tridimensionali (che escono dalla pagina e si presentano al lettore come cosa viva, tanto per capirci), alimentato da una scrittura che entra nel genere letterario senza pagar pegno a niente e a nessuno, Il cameriere di Borges, il secondo romanzo di Antonio Bussotti è però in buona parte un’occasione perduta. Perché c’è un ingrediente di troppo. E a dosi pesanti: lo scrittore stesso. Poco disciplinato nel dover scomparire perché il lettore si goda la gran bella storia che ha congegnato. A Bussotti piace molto l’Argentina e conosce bene l’Argentina. Bene per lui. E non perde occasione (pagina) per farcelo sapere. Non sventa mai la minaccia di informarci che c’è un poeta, un romanziere, un piatto, un luogo che lui conosce e adora. Lo stesso vale per la musica. Una pletora di nomi e cibi che aprono parentesi infinite sul romanzo e che ci fanno dire: A’ Bussò, levate un po’ de mezzo e facce godè ‘sta storia. Dove poté l’ingegno, non arrivò la penna.

Corrado Ori Tanzi

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