Che te lo dico a fare



marco biaz
Che te lo dico a fare
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“Pioggia, freddo, buio, provincialotti snob, agenti immobiliari, venticinquenni con le tasche gonfie di soldi, belle auto, belle gnocchette”. Ecco la Torino nella quale si muovono Ziad, Amer, Viktor, il Vescovo, McDean, Voloshin, Serjedì e tutti gli altri della pensione Bojan Faust, squallido ma vitale rifugio nel cuore di San Salvario dove oltre la metà degli ospiti sono extracomunitari senza permesso di soggiorno: uomini e donne in fuga non solo dal loro Paese d’origine, ma anche da se stessi, e alla disperata ricerca di un modo per rimanere a galla in una città che non li vuole e che loro per primi non amano.

Nessuno se la passa bene in questa Torino senz’anima di cui ci parla Biaz, neppure Miranda Lopez, che pure è italiana, né il commissario Sciandri, che vuole la chiusura del Bojan con tutte le sue forze, né AAA, famoso giornalista sportivo. Gli sgangherati tornei di Sganass, le imprese eroiche, le avventure notturne, le donne ciniche e la vasta schiera di pazzoidi che riempiono le giornate dei nostri antieroi riescono anche a strappare qualche risata, ma questo non basta ad alleggerire l’atmosfera noir in cui ci si trova immersi.

“La vita. È quello che è, ma cosa?”. Ecco la morale: non c’è morale. Alla fine qualcuno continua a scappare e altri tornano a casa, qualcuno vive e qualcuno muore, qualcuno corona i suoi sogni e altri di sogni continuano a non averne. Ma la corsa continua, col vento tra i capelli e passi di danza che muovono i piedi.

sarah sajetti

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