Contest Cocco e Magella: i racconti vincitori

Concorso Cocco e Magella – Continua l’incipit e vinci – 
3° Classificato il racconto di Anna Ferrari Scott

I VESTITI CHE INDOSSERAI

Il 15 settembre del 2014, intorno a mezzogiorno, la professoressa Aurora S*, 34 anni, insegnante di Scienze, uscì dal portone principale della Scuola media di Lambrate, Milano, diretta come ogni giorno verso la stazione Centrale. Dopo aver salutato un paio di colleghi, Aurora fu vista allontanarsi da sola verso l’angolo compreso tra via Feltre e Piazzale Udine. I familiari e l’ex compagno diedero l’allarme intorno alle quattro del pomeriggio, e le ricerche della Polizia iniziarono verso le diciotto. Al momento della scomparsa indossava una giacca di velluto beige, una maglietta fucsia, dei jeans e un paio di scarpe da ginnastica.
«E io le dico che non può essersi vestita così per uscire di casa. Per andare a scuola, il primo giorno di scuola, poi! No, Aurora è più raffinata» disse Antonio al commissario che aveva davanti. Se la rivide mentre dava sfoggio della sua collezione di biancheria intima: definirla raffinata poteva quasi sembrare riduttivo. Intrigante, quasi sfacciata e naturalmente elegante. Ma questo lo pensò e basta. «Non può» continuò «aver indossato una maglietta per andare a scuola. Il fucsia è il colore che indossa per i suoi completini da palestra e a scuola lei porta camicette strizzate o twin-set su misura. La giacca di velluto me la ricordo, è l’unico capo beige che Aurora ha nel suo guardaroba: è un tailleur pantalone di velluto che ha comperato in via Montenapoleone e che mai avrebbe spezzato. E poi è un completo che lei mette ad autunno inoltrato, quando fa più freddo. E i jeans sono roba da tempo libero, da vacanze. Le scarpe da ginnastica, solo in palestra, quelle col bordino fucsia.»
Aveva acceso l’interesse del commissario e dell’assistente.
«E adesso ci spieghi meglio come era la relazione con la signorina Aurora. E perché si è interrotta e tutto quello che c’è da dire.»
«Ci siamo lasciati esattamente un anno fa. Diciamo che la famiglia di Aurora l’ha plagiata per spingerla a lasciarmi, soprattutto suo fratello Mauro. Ho provato tante volte a cercarla.»
«E c’è riuscito?»
Sì, c’era riuscito. E raccontò tutto. Di come lei lo aveva richiamato, finalmente, un giorno. Di come si erano ritrovati. Di lei che gli chiedeva scusa. Di lei che voleva tenere tutto segreto, perché aveva paura.
«Paura di cosa, scusi?»
Scavarono ancora più a fondo: che giorno Aurora lo aveva chiamato? In quali giorni si erano visti a casa sua? Cosa avevano fatto, esattamente, quando si erano visti? Come vestiva ultimamente Aurora? Dovevano vedersi quel giorno? Stava andando a prendere la metropolitana per poi andare in stazione, vero?

Quando Antonio uscì dalla stanza, vide seduta la madre di Aurora e il fratello Mauro.
«Io me lo sento che è successo qualcosa. Me lo sento. Posso entrare, adesso, secondo te? Ma tu, mia figlia, da l’anno scorso, l’hai più vista o sentita? Perché lei, qualche volta, parlava di te» gli disse la donna, con un filo di speranza nella voce.
Antonio le voleva ancora molto ma negò tutto, prima che lei entrasse.
Mauro lo incenerì con lo sguardo. «Giuro che se c’entri te, stavolta ti ammazzo! Avevi giurato di starle lontano» gli sibilò tra i denti, in modo da farsi sentire solo da lui.
«Stronzo. Pensi che io non sia preoccupato?» gli rispose Antonio, con gli occhi sbarrati per la rabbia.
«Tu, mia sorella, non la devi più toccare. »
Antonio fece un ghigno. Sua sorella, lui, l’aveva toccata, in tutti i modi possibili, anche la sera prima. Poi Aurora aveva dormito a casa sua. Quella mattina l’aveva accompagnata a casa di corsa, in auto, lei voleva cambiarsi perché era ancora vestita da palestra, di fucsia da capo a piedi, scarpette comprese. La doccia l’aveva già fatta, con lui, e quella mattina, in macchina, avevano lasciato un alone di sandalo, l’aroma del bagnodoccia di Antonio. E quella notte avevano anche deciso che lei sarebbe tornata a vivere da lui.
«Non la devi più toccare! Né a casa sua, né a casa tua!» urlò Mauro.
Fu quell’aria folle, e quell’accenno alle case, a mettere in allarme Antonio, forse Mauro sapeva qualcosa. Forse come la madre che si era insospettita, anche lui aveva avuto modo di… vederli insieme? Quando? Telefonò al commissario, un po’ più tardi: doveva dire altre cose, doveva riferire di quel piccolo alterco, forse non era importante ma forse invece…

Trovarono Aurora due giorni dopo, nel casale di campagna che Mauro aveva ereditato alla morte della moglie.
Mauro nutriva una perversione nei confronti della sorella che andava oltre il consentito, a tal punto che era riuscito a plagiarla e a convincerla a lasciare Antonio. Quando lei se ne era resa conto, aiutata dalle continue telefonate di Antonio che riceveva in segreto su un secondo cellulare di cui nessuno era a conoscenza, aveva accettato di rivedere il suo ex. Si erano ritrovati subito e la forza che Antonio le trasmetteva aveva fatto il resto.
Mauro aveva colto la trasformazione della sorella e la sua rabbia era scoppiata qualche sera prima, quando lei, dalla palestra, aveva telefonato che non sarebbe rientrata a casa e che non poteva quindi andare da lui come erano d’accordo. Mauro l’aveva cercata, vagando in auto per Milano in lungo e in largo, passando da un locale all’altro, e, infine, passando davanti a casa di Antonio. E l’aveva vista, Aurora, per un attimo era apparsa, per chiudere le persiane, quelle della camera da letto di Antonio. Quello fu il sigillo del suo fallimento, da fratello, da uomo, da amante. Così era andato ad aspettarla a casa sua, le aveva rubato una traccia delle chiavi tempo prima, era stato un giochetto. Aveva dormito nel suo letto, annusando le lenzuola e sporcandole del suo piacere solitario. Aveva fatto la doccia nel suo box, usando un bagnodoccia alla vaniglia, poco maschile, sì, ma era stato meraviglioso usarlo. Aveva trovato un cassetto di biancheria intima indecente, roba che lui vedeva solo in certi film. Aveva trovato oggetti destinati a procurare grande piacere, oggetti che toccava con un certo imbarazzo, immaginando le urla di piacere… Tutto questo era stato molto doloroso per lui, la sua pazzia era scoppiata.
La stava aspettando, sapeva che lei quella mattina doveva presentarsi a scuola. Le stava preparando i vestiti che, aveva deciso, lei avrebbe indossato. Aveva già sistemato sul letto, ancora sfatto e macchiato, una giacca beige di velluto. Era di un tailleur pantalone che avevano comperato insieme in centro qualche anno prima, e prima che Antonio irrompesse nelle loro vite. Poi dei jeans, quelli che a lui piacevano tanto perché le facevano un culo da urlo. Quelli con la rosa ricamata a fianco del taschino.
Lei entrò in casa mentre lui si stava dedicando alla scelta della camicetta. Aurora non fece in tempo nemmeno a provare stupore.
L’aveva costretta, con minacce pesantissime, a vestirsi con le cose, non tutte, che lui aveva scelto. Le aveva giurato che avrebbe fatto molto male ad Antonio se solo lei… Le aveva sequestrato i cellulari, tutti e due, lo sapeva che lei ne aveva due. I loro messaggi infuocati gli provocavano sempre fitte di dolore, alla testa e all’inguine. Le aveva dato appuntamento all’angolo tra via Feltre e piazzale Udine, verso mezzogiorno, doveva sembrare che lei stesse andando a prendere la metro.
Dopo, l’aveva portata in campagna e lì, dopo averla un po’ drogata ma non tanto da renderla incosciente, l’aveva usata e usata, ignaro delle sue deboli suppliche.
Lui, il figlio adottivo e imperfetto che aveva sempre subito la sorella, da quando la madre, grazie a un miracolo, era finalmente rimasta incinta. Di una femmina bellissima e fragile. Era stato il suo modo di punire la madre finta e quella vera, la sorella finta e l’amante che lei non aveva mai inteso di poter essere per lui.
Aurora, emaciata nel corpo e nella mente, ma viva, era convinta che, anche dopo anni di processi, una perizia psichiatrica gli avrebbe garantito la libertà. Ma lei ora era con Antonio e si sentiva al sicuro. E non lo avrebbe mai perdonato.

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