Intervista a Danilo Arona

Danilo Arona, giornalista, scrittore, musicista, indagatore e superbo narratore di “storie ai confini della realtà”, critico cinematografico e letterario, ma soprattutto punto di riferimento per tutti gli appassionati della narrativa horror di casa nostra, ha appena dato alle stampe un saggio su uno dei massimi capolavori della cinematografia mondiale. Stiamo parlando di Uccelli, il celebre film di di Alfred Hitchock, al quale Arona ha dedicato il volume Gli uccelli di Alfred Hitcock, edito da Un Mondo a Parte (http://www.ibs.it/code/9788889481240/arona-danilo/uccelli-alfred-hitchcock.html). Del grande regista, del suo cinema e di molto altro ancora abbiamo conversato con l’autore del saggio.

Gli uccelli è unanimemente considerato un capolavoro assoluto, eppure le nuove generazioni conoscono poco questo film: come mai, secondo te?

Non è facile rispondere. Molti ragazzi, ventenni, ma anche generazioni più in là, in qualche modo infelicemente preavvertiti da chi l’ha già visto e non l’ha apprezzato, lo evitano perché ritengono che sia un prodotto noioso e superato. È un discorso complicato, perché da decenni a questa parte i ritmi cinematici del thriller in genere sono divenuti iper-veloci, con un restringimento tempistico del “levare” ormai ridotto a pochi minuti. Se teniamo conto che ne Gli uccelli il primo, vero attacco di massa dei mostri avviene dopo più di 45 minuti, dopo un lungo e meraviglioso prologo che andrebbe colto e gustato in ogni sua sfumatura, possiamo anche capire come molti ragazzi si siano annoiati. E che molti temano di farlo. È purtroppo ovvio: bisognerebbe sforzarsi di vedere un film con gli occhi, per quanto possibile, dell’epoca di riferimento. Però questo va anche insegnato. E qui mi fermo. Poi c’è da dire che sono anni che il film non viene più riproposto né sul free né sul satellite. O, quando capita, a orari impossibili.

Come considerare questo film nell’ambito della filmografia hitchockiana?

Tra i fondamentali. Assieme a La donna che visse due volte, La finestra sul cortile e Psycho. Ma anche Marnie, che molti a torto considerano un “minore”. Il fondamento del thriller moderno sta tutto lì: il doppio, il voyeurismo, l’apocalisse metafisica, i traumi rimossi dell’infanzia, la dialettica del luogo chiuso e dell’assedio. C’è un cinema che ancora oggi vive di rendita.

Oggi qual è l’interpretazione prevalente del film?

Dopo averci dedicato un libro, temo non esista un’interpretazione prevalente. Come scrisse Ghezzi a proposito di Shining, tutti i percorsi interpretativi sono possibili ed equivalenti. E questo di solito succede con i capolavori. Certo, occorre annotare che la psicanalisi, qui come per altri film del maestro, l’ha fatta da padrona. Dato il tema e i soggetti in campo, impossibile sfuggirne.

Parliamo delle figure femminili nel cinema di H.: sei d’accordo con chi afferma – e sono molti, lo sappiamo – che il grande regista fosse un feroce misogino?

È universalmente noto che la madre di Alfred – soffocante, severa, petulante – gli procurasse da piccolo una discreta serie di problemi, forse in parte prolungatisi nell’età più adulta. Ce ne sono tracce ben evidenti nel suo cinema. In realtà Hitchcock le donne le voleva amare, nel senso meno equivocabile del termine. Il rapporto quasi sadico e certo manipolante con Tippi Hedren, all’origine di una pesante crisi coniugale con l’inseparabile Alma e sul quale mi dilungo a sufficienza nel libro, lo testimonia. Certo, è quel “lato oscuro del genio” di cui parla Donald Spoto: Hitch le sue bionde perfette le creava, le forgiava all’apparenza come algide bellezze irraggiungibili, mentre in realtà voleva farle sue, forse più mentalmente che fisicamente, prefigurando un approccio torbido e non facilmente comprensibile. Ma anche questo è un tassello fondamentale della mitologia. E non secondario. Il tutto può riassumersi in una sua celebre e fulminante battuta: “Cerco delle vere signore, donne di mondo con un’aria impassibile e fredda, in grado di diventare delle puttane quando sono in camera da letto”. Beh… Era un’altra epoca e il femminismo non era ancora nato…

Leggenda vuole che Hitchcock stesse accarezzando negli ultimi anni la possibilità di girare un film a luci rosse: che sai dirci al riguardo?

Di questo non so nulla, ma non sono un hitchockiano perfetto. Sono a conoscenza, come tutti, dell’incompiuto progetto di The Short Night, una spy story alquanto erotica per i canoni degli anni Settanta. Si dice che, complice Truffaut, ci fossero in corso trattative con Catherine Deneuve, per la quale Hitch si era particolarmente infervorato dopo Bella di giorno… E si racconta anche che fosse prevista per quel film una lunga scena di stupro, molto grafica e coinvolgente. Ma non penso che stiamo parlando dello stesso progetto.

Trovi che il regista abbia trasposto adeguatamente il racconto di Daphne Du Maurier?

Assolutamente no. Lo ha tradito alla grande. E gli è restato nello stesso tempo molto fedele, perché al cinema spesso, se non quasi sempre, occorre tradire il testo da trasporre per coglierne l’essenza. Come si dice in gergo, scarta la buccia e cogli la sostanza. Qualcosa del genere è accaduto con Shining, nel quale King non si è riconosciuto, ma del quale non si può non ammettere che sia un capolavoro e nel quale l’idea kinghiana del Male trova pieno spazio accanto allo stravolgimento operato da Kubrick. Così Hitch ha cambiato tutto rispetto all’impostazione della Du Maurier (location, epoca, protagonisti, timing), ma l’idea dell’Apocalisse (forse) finale, e provocata in modo misterioso dai più antichi amici del genere umano, vi resiste intatta. Ciò detto, è mia incrollabile opinione che, invece di pensare a un grottesco remake de Gli uccelli di Alfred, bisognerebbe invece trarre un film dal racconto della Du Maurier, che gli sia il più possibile fedele, magari aggiornato all’oggi e immerso nelle suggestioni preapocalittiche in salsa 2012. Nelle mani giuste e con le facce giuste, con quell’ambientazione minimalista della Cornovaglia a picco sul mare, sarebbe sulla carta un grande film.

Domanda tecnica: perché il film non ha colonna sonora?

Perché Hitch non la volle. Fu una scelta precisa e, certo, sperimentale. In realtà la colonna sonora c’è… Elaboratissima. Però, visto che ci ho dedicato un capitolo piuttosto complicato, permettimi di stimolare la curiosità di qualcuno che voglia andarselo a leggere. Dico solo che appassiona persino la “storia” di questa colonna sonora, con quel mese di esilio di Hitch a Berlino Ovest in compagnia di Bernard Herrman. Trenta giorni in cui si mise a punto la più incredibile aggressione psico-sensoriale allo spettatore dei primi anni Sessanta… In conclusione, indica almeno tre buone ragioni perché i giovani dovrebbero vedere il film. La prima ragione sembra solo per fan, ma non è proprio così. Gli uccelli va visto, e rivisto, per capire nelle sue pieghe nascoste tutto quel cinema horror e thriller che ancora va per la maggiore, quello della catastrofe di massa che purtroppo rappresenta, dato che ti sto rispondendo nel pieno della tragedia giapponese, un autentico aspetto del mondo reale. La seconda è una lezione “magistralis” di regia e di montaggio tuttora applicata da colti e attenti autori che, con il dono dell’umiltà, sanno bene che non puoi misurarti ancora oggi con il thriller senza fare i conti con il cinema di Sir Alfred. La terza è Tippi, che Camille Paglia, autrice di un’altra bellissima monografia su Gli uccelli, ha definito “la Sharon Stone degli anni Sessanta”. Una femmina basic, sensuale, elegante… Non vedi l’ora che si sciolga i capelli. E, quando ciò accade, alla fine del film, non è stata lei. Sono stati gli uccelli “stupratori”. E tu in qualche modo li ringrazi, anche se ormai Melania è più di là che di qua con la mente… Ammettiamolo, anche il lato oscuro e perverso del genio era geniale.

luigi milani

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