E trentuno con la morte – Giulio Leoni



Giulio Leoni
E trentuno con la morte
TEA
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Con l’Italia seduta per diritto al tavolo dei vincitori al termine della Prima guerra mondiale, venne siglato  a Londra e confermato a Parigi, un accordo internazionale che prevedeva l’assegnazione della città italiana di Fiume al Regno di Serbi Croati e Sloveni (la futura Jugoslavia).
Con la cessione della città dalmata, la vittoria italiana appariva inspiegabilmente  “mutilata” (secondo la definizione che ne diedero gli irredentisti) e fu anche aspramente contestata anche da parte dell’opinione pubblica.  Ci furono interrogazioni parlamentari, proteste nei circoli politici mentre cresceva lo scontento fino a maturare un diffuso clima di ribellione. Quella assegnazione, vista come una presunta sconfitta dell’Italia al tavolo negoziale e  che pareva quasi un tradimento degli ideali risorgimentali e del sacrificio dei soldati caduti durante la Grande Guerra, spinse Gabriele d’Annunzio, pluridecorato e al culmine della popolarità  per  il coraggio dimostrato, in grandi  imprese di cui era stato protagonista (era stato  insignito di una medaglia d’oro al valor militare, di cinque d’argento e di una di bronzo), a farsi  portatore del malcontento popolare.
Lo stesso clima di malcontento che in seguito porterà  al successo il fascismo, dal quale tuttavia  d’Annunzio si dissociò molto presto, e alla fulminea ascesa di  Benito Mussolini.                                           Gabriele d’Annunzio si era congedato dopo la guerra con il grado di tenente colonnello, alto e soprattutto inconsueto a quell’epoca per un ufficiale non di carriera (si era guadagnato tre promozioni solo per meriti di guerra).
Il suo malcontento si concretizzò nell’azione. Il dado era tratto.  All’alba del 12 Settembre 1919 infatti, Gabriele d’Annunzio,  capo e vero protagonista dell’impresa, alla testa di una colonna armata, un esercito irregolare di “arditi”, un gruppo di “legionari” cui presto si uniranno anche truppe regolari, mosse da Ronchi di Monfalcone alla conquista  della città di Fiume, già asburgica. A questa fulminea e inattesa avanzata militare, poi  chiamata la “marcia di Ronchi”, farà seguito  l’occupazione di Fiume nonostante l’ostilità del governo italiano.
A Roma infatti, il nuovo Presidente del Consiglio, Francesco Saverio Nitti, in bilico tra la crisi economica postbellica e le pretese di rivendicazione, condannava l’iniziativa affermando con amarezza  – “per la prima volta nell’esercito italiano, sia pure per fini idealistici, è entrata  la sedizione”.
Ma quasi un anno dopo, il 12 agosto 1920,  d’Annunzio deciderà di dare al territorio fiumano la condizione di Stato indipendente, proclamando  la Reggenza Italiana del Golfo del Carnaro. Fra i suoi primi atti, l’8 settembre ci fu la proclamazione della Carta del Carnaro, una costituzione di stampo libertario e socialisteggiante. Frutto della sua intesa con il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. Lo Stato Libero del Carnaro fu il primo a riconoscere la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
Quando il 12 novembre 1920, con il Trattato di Rapallo, tutte le potenze vincitrici della guerra si impegnarono a garantire lo Stato libero di Fiume, e d’Annunzio respingendo l’ultimatum, si disse pronto a resistere, l’esercitò italiano attaccò.
Il 24 e il 25 dicembre ci furono scontri in cui morirono alcune decine di legionari e di soldati italiani. La corazzata italiana “Andrea Doria” sparò alcuni colpi di cannone che colpirono la residenza del governatore, dove risiedeva d’Annunzio. Pochi giorni dopo, il 31 dicembre, d’Annunzio firmava la resa della città. Curiosamente, né per lui né per i suoi uomini ci furono conseguenze. L’esercito italiano occupò Fiume, dove D’Annunzio rimase – senza essere arrestato – fino al 18 gennaio, quando decise di partire e di ritirarsi in una sorte di esilio volontario nella sua villa di Gardone, sul Lago di Garda. Lo Stato Libero di Fiume sopravvisse appena due anni all’impresa del Vate. Nel gennaio del 1924 l’Italia e la Jugoslavia firmarono un trattato in cui il territorio di Fiume veniva diviso a metà tra i due stati. Il 16 marzo del 1924, novantasei anni fa, re Vittorio Emanuele III entrò a Fiume e proclamò la città parte del Regno d’Italia.                                                                                                                     
Inserita in un preciso e particolare quadro storico, la controversa impresa ha offerto alla fantasia  di  Giulio Leoni il destro e il palcoscenico per scrivere un misterioso e intrigante  romanzo giallo , denso di suspence e di drammatici richiami, molto ben documentato e ben ricostruito sul piano storico ambientale.
Con l’attacco delle truppe italiane l’impresa fiumana del cinquantasettenne Vate aveva ormai i giorni contati, ma Gabriele d’Annunzio non voleva cedere, anzi s’illudeva ancora di riuscire a portare a termine la sua ultima beffa, dopo quelle di Vienna e Buccari.  Ma stavolta, per rovesciare il tavolo della Storia  non gli restava che una chance: un  colpo di magia. Uno come quelli operati da Restelli, il grande  prestigiatore che aveva convocato a Fiume.
Intanto,  per sfidare i diplomatici francesi e britannici e  informarli delle sue scelte politiche relative al disconoscimento degli accordi internazionali che privavano l’Italia della città di Fiume, aveva organizzato per il 19 dicembre un stravagante e derisorio banchetto futurista presso villa Meridiana, la  stravagante villa cinquecentesca con la sua nuova ala edificata con le scarne linee dalla Secessione viennese fine secolo, che ospitava sui suoi muri e nelle sale una vasta collezione di quadri e sculture futuriste. La villa era ricca di stanze e corridoi dove si sussurrava  si aggirassero  soprattutto  i fantasmi  di famosi ex pazienti, perchè Villa Meridiana era anche  un istituto di ricerche neurologiche. Insomma una clinica destinata allo studio e alla cura di malattie mentali,  diretta dal famoso dottor Zoser, strana e indecifrabile  figura di psichiatra.
D’Annunzio , dopo aver requisito il manicomio con il beneplacito del suo direttore, ricevette in grande stile i suoi trenta invitati, tra cui spiccavano  le signore, il celebre mago Restelli, i suoi ufficiali e i funzionari governativi che rappresentano i loro paesi per una specie di cena delle beffe. Infatti doveva essere una cena con stravaganti e derisorie portate futuriste, concepite e realizzate da alcuni legionari elettisi cuochi. Ma, proprio al culmine della serata, verrà commesso il più incredibile e impossibile dei delitti. Un classico nella letteratura gialla: il delitto della camera chiusa. Insomma quella che doveva essere una beffa si trasformerà  in tragedia.
Il professor Zoser, unico ed esclusivo padrone dell’edificio, di cui conosceva ogni meandro per avervi installato in segreto un laboratorio sperimentale di elettroconvulsioni, verrà ritrovato cadavere legato al lettino elettrico del suo laboratorio. E, come se non bastasse, qualcuno, oltre a uccidere il professore, ha sottratto una busta con i due milioni, che il Vate gli aveva fatto chiudere in cassaforte e dovevano servire per finanziare la sua ultima beffa.
Ora, l’unico modo per il poeta per evitare uno scandalo che rischiava anche di compromettere il suo estremo, grandioso piano di riscatto sarà scoprire il colpevole.
Incaricato delle indagini da d’Annunzio  sarà  il tenente Marni, un legionario responsabile della sicurezza interna ma architetto nella vita e dunque con ben poca  esperienza come detective. Dovrà  confrontarsi con una indagine che si rivelerà  subito  spinosa e complicata. Ognuno degli ospiti presenti alla villa potrebbe essere il colpevole; nessuno di loro  infatti dispone di un  alibi, ma apparentemente nessuno di loro ha un  movente. O almeno pare. Tanti  particolari e troppe domande tra cui districarsi  metteranno  Marni in fibrillazione. Tanto per cominciare : chi era in realtà Zoser? Perché ci sono stati tanti decessi tra i pazienti della clinica? Qualcuno aveva motivo di volerlo morto?  Che significato dare alla sua stravagante collezione di fotografie? Cosa c’era dentro il nastro con registrati gli impulsi elettrici del cervello di Gabriele d’Annunzio? E cosa vorrà dire quella baionetta trovata sul luogo del delitto?  E chi è in realtà  Viviana, l’austriaca, l’ affascinante assistente di Zoser che ama l’arte moderna? Senza contare che, con il passare dei giorni, il tenente Marni, in un intrigo quasi da manuale, dovrà affrontare  non solo l’omicidio di Zoser ma tutta una serie  di altri delitti, barcamenandosi tra eventi  e complotti internazionali (veri) e squilibrati profili psicologici.
Un avvincente  giallo storico. Calibrate e realistiche le descrizioni, sia ambientali (la città di Fiume nel ’20) che dei personaggi; mentre la caratterizzazione della fanatica mentalità, dominante tra i giovani attori dell’esperienza fiumana, sembra poi la vera ciliegina sulla torta. La plausibilità è il grande punto di forza della storia (esaltata dal linguaggio usato dallo stesso D’Annunzio, che si avvale di termini ricercati e languide forme poetiche).

Patrizia Debicke

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