Faccia a faccia con Cristina Brondoni

untitledCristina Brondoni, milanese, giornalista e criminologa, vanta una laurea in Lettere, una in Criminologia e un master in Criminologia forense. Si occupa di profiling, collaborando anche con il generale Luciano Garofano. Inoltre, compare in televisione nelle vesti di criminologa a TgCom24 e cura una rubrica sul mensile Armi&Balistica e il blog personale tutticrimini.com. Da poco è uscito il suo nuovo libro, Dietro la scena del crimine, edito da Las Vegas Edizioni.

Cristina, abbiamo detto che sei una criminologa e già solo leggendo le prime righe dell’introduzione del tuo nuovo libro apprendiamo che hai “un’insana passione per le scienze forensi” e per i libri, i film e le serie tv che riguardano il crimine. Da cosa deriva questa passione, diventata anche il tuo lavoro, per un ambito così particolare?
Credo affondi le radici nell’infanzia. Ai cartoni animati preferivo i film gialli, l’Ora di Hitchcock, Ai confini della realtà, il tenente Colombo e Starsky&Hutch. Sono certa che la televisione abbia il suo ruolo nel determinare alcune scelte. Magari anche solo nel chiarire, soprattutto quando sono solo abbozzate, le nostre tendenze, le aspirazioni, le speranze. E, a parte la tv, ho iniziato a leggere i libri che trovavo in casa: i gialli di Agatha Christie, sir Arthur Conan Doyle e Simenon. Avevamo in casa altri libri, davvero, ma non mi interessavano. Vedi? Era già insana all’epoca, la passione.

Dietro la scena del crimine è un libro particolare… io l’ho definito quasi un “prontuario” per chi vuole occuparsi a vario titolo, come lettore, telespettatore o scrittore, di questo campo. Come ti è nata l’idea?
L’idea è di Carlotta Borasio di Las Vegas Edizioni. Ha letto alcuni post sul mio blog e mi ha contattato. Insieme abbiamo parlato di questa sorta di “prontuario” e, con l’editore Andrea Malabaila, si è deciso che taglio dare al libro. Il nostro obiettivo era di parlare del gap tra fiction e realtà. Può essere utile a chi, per esempio, dice che in Italia non si risolve niente, che nessuno sa fare indagine, che i processi sono tutti sbagliati. In molti casi il giudizio proviene da chi ha visto i processi e le indagini (tra l’altro quasi sempre e solo americani) in tv e applica alla realtà un metro che, se va bene, è quanto meno errato. E, tra l’altro, non tiene in considerazione il vecchio adagio che “chi fa, sbaglia e chi non fa, critica”.

cris yuma chicNel libro, per spiegare cosa accade nella realtà, usi numerosi esempi, tratti specialmente da serie televisive molto note, e ci sveli parecchie imprecisioni. Secondo te come mai gli autori non curano con maggiore attenzione dettagli a volte importanti? Semplice disattenzione o voglia di colpire il pubblico a tutti i costi?
Considerati alcuni budget colossali direi che in molti casi siamo a metà tra la disattenzione e la certezza che “tanto non se ne accorge nessuno” soprattutto per quanto riguarda l’uso delle armi. Per quanto riguarda invece il “rendere” visivamente un cadavere c’è probabilmente un ostacolo più evidente: mostrare un cadavere smembrato come è nella realtà potrebbe far scappare gli spettatori. E certo l’intento degli sceneggiatori non è quello di rischiare di perdere il pubblico.

Domanda un po’ macabra… In estrema sintesi, che consigli daresti a un autore che volesse usare come “protagonista” del proprio libro un cadavere?
Intanto di pensare a che tipo di cadavere vuole rendere protagonista del suo libro. E’ un cadavere fresco? Stagionato? E’ tutto intero? Ci sono solo alcuni pezzi? In che condizioni è diventato cadavere? Si può scrivere di tutto, l’importante è documentarsi. E’ sufficiente un buon testo di medicina legale. Anche “testare” la difficoltà di spostare un corpo morto può aiutare. Si può chiedere ad amici e parenti di prestarsi a far da cavia: provare a trascinare qualcuno che non collabora anche solo per spostarlo di cinque centimetri è un compito ingrato. Ma rende bene l’idea della pesantezza di un cadavere.

E a uno spettatore appassionato di serie tv che riguardano il crimine?
Rispetto chi è appassionato di serie tv e non sarò certo io a rovinargli il divertimento. Non leggete il mio libro.

Realtà e fiction… secondo te, quale delle due arriva a superare l’altra?
Guarda. Visti anche gli ultimi tragici fatti di Parigi purtroppo è sempre la realtà a vincere. Non c’è un Jack Bauer pronto a far fuori i terroristi prima che loro facciano fuori vittime innocenti. La fiction ci offre la visione del “come potrebbe essere” o del “come ci piacerebbe che fosse”. Ma poi, quando l’episodio finisce, la realtà è ancora lì ad attenderci.

Ho molto apprezzato lo stile con cui hai scritto Dietro la scena del crimine, semplice, ironico e accattivante. Secondo te, quanto è importante lo stile di un libro per suscitare l’interesse del lettore?
Intanto grazie. Lo stile immagino sia importante. Non è sempre e solo importante cosa dice, ma come lo si dice. La comunicazione non verbale ed extra verbale si vede anche quando si scrive. Con i social network si può tracciare con facilità il profilo di una persona in base a come scrive e non tanto a quello che scrive. L’uso di maiuscole, di punti esclamativi, di un aggettivo piuttosto di un altro evidenziano emozioni, valori e personalità. Non prendersi troppo sul serio ed essere possibilisti credo aiuti.

Quale criminologa e profiler, devi guardare, scandagliare dentro l’animo umano. Spesso un animo turbato e nero, suppongo. Cosa si prova ad andare alla ricerca del “male”, se così possiamo definirlo, spesso trovandolo?
Ho iniziato ad apprezzare il bene. Da qualche anno, da quando il male è entrato nel mio studio, in casa mia, ho cominciato a soffermarmi su quei gesti di gentilezza che, prima, mi passavano inosservati o che addirittura consideravo dovuti. Mi arrabbio meno. Razionalizzo di più.

Nel tuo libro hai parlato di molti celebri serial killer, passati tragicamente alla storia. C’è qualche personaggio che ha catturato maggiormente la tua attenzione?
Molti. Ho poi una sorta di predilezione per gli “angeli della morte” perché di loro si parla poco (e ne abbiamo anche in Italia): sono i più disgraziati perché le loro vittime, più di altre, sono davvero indifese. Anziane, molto spesso, o molto giovani, costrette in letti di ospedale, talvolta incoscienti. Poi c’è il mio lato un po’ old style e Jack Lo Squartatore è quello che più di tutti si è preso la mia attenzione. Probabilmente molto dipende dal fatto che il caso è aperto. E dalla presunzione di pensare che, prima o poi, si arriverà a una conclusione.

Sogno nel cassetto, letterario o non, di Cristina Brondoni?
Scrivere libri e collaborare con Luciano Garofano sono fatti che hanno superato di parecchio le mie più sfrenate fantasie. Il sogno non letterario, però, te lo dico: vedere le vittime trattate con dignità e rispetto. Tenute al centro dell’indagine. Considerate per quello che hanno da dire, anche e soprattutto da morte. E un po’ di collaborazione. Perché da soli non si va da nessuna parte.

Gian Luca Antonio Lamborizio

Potrebbero interessarti anche...