La regola del lupo. Franco Vanni: come Steno Molteni, anch’io ho fatto il barman.

41X-NjE9s6L._SX346_BO1,204,203,200_Uscito da pochi giorni per Baldini + Castoldi, La regola del lupo è la nuova fatica letteraria di Franco Vanni a cui abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda.
La regola del lupo segna il ritorno di Steno Molteni, già protagonista de Il caso Kellan.
La serialità era già nei tuoi progetti?
Quando ho cominciato “il caso Kellan”, primo romanzo della serie, non avevo idea che ne avrei fatto un altro con lo stesso protagonista. Ma quando mi sono avvicinato alla fine, mi sono detto: Chiuso questo libro, Steno mi mancherà! E ho capito che avevamo ancora strada da fare insieme.

Steno è un ragazzo giovane, all’inizio della vita e della carriera. Ancora non porta sulle spalle il fardello di esperienza, disillusione, dolore e fallimento tipico di molti altri personaggi del  panorama giallo/noir. Perché questa  scelta originale?
Tutti noi abbiamo giornate difficili. La vita è spesso un casino. Ragiono da lettore: quando arrivo a sera voglio qualcosa che mi sia di conforto, come un buon whiskey. Steno, da questo punto di vista, penso funzioni: è giovane, vive in albergo, guida una vecchia Maserati, si frequenta con Sabine, ragazza che sembra uscita da un sogno di Paul Gauguin. Insomma, la sua vita è quella che vorrebbero avere molti di noi. Leggendo le sue avventure, per un po’ possiamo viverla.

Steno fa il barman tre sere a settimana, anche tu hai fatto altri lavori all’inizio della carriera per mantenerti?
Ho fatto … il barman! Ho avuto anche un locale in gestione, con alcuni soci fra cui mio fratello Mario. Da ragazzino ho venduto contratti telefonici e ho fatto il cameriere. Negli anni dell’università ho disegnato poster, come grafico, per un’associazione umanitaria. Ma molto presto ho cominciato a lavorare nei giornali.

download (2)Steno a 27 anni si definisce un giornalista vecchia scuola. Tu come ti definisci e qual è la differenza tra vecchia e nuova scuola?
Anche a me, come a Steno, non piacciono le telecamere nascoste, i sotterfugi, i trucchi. Se posso, mi presento agli interlocutori per quello che sono: un giornalista. Il giornalismo “di rapina” non mi entusiasma. Per il resto oggi, a causa della crisi, i giornalisti sono sempre meno numerosi. Per contro il lavoro, con il moltiplicarsi dei canali web, è sempre di più. Per cui la “nuova scuola”, di cui tutti facciamo parte, consiste semplicemente nel lavorare il doppio in metà del tempo.

A pag 51 fai una piccola riflessione sul modo di prendere appunti dei giornalisti: cellulare o taccuino. Tu come prendi appunti?
Cellulare se sono in giro, computer se sono in redazione, iPad nelle trasferte più “comode”. La carta la uso solo per disegnare.

L’amicizia è al centro della trama di La regola del lupo. Quanto conta l’amicizia nella tua vita?
Tantissimo. Ho la fortuna di avere conservato molte amicizie dell’infanzia e dell’adolescenza. Due dei miei testimoni di nozze erano in classe con me alle medie. Se ho un problema, o una cosa bella da condividere, so chi chiamare. Sempre le stesse persone, da tanti anni. L’unico dispiacere è che uno dei miei più cari amici da qualche anno viva a Los Angeles. Sono contento per lui, che è un grande e lì si è costruito una vita bellissima, ma mi spiace per me, che a metà mattina non posso scrivergli: “Piadina alle Colonne a pranzo?”.

DSC_5934-1Più volte nel libro i personaggi si riferiscono  ai Ris con una certa ironia. Come mai?
Spesso i carabinieri di paese, o comunque di stazione, sfottono (e forse un po’ invidiano) i colleghi dei reparti speciali e dei nuclei: Nas, Ris, Ros e via dicendo. Così, quando i supermen dell’indagine sbagliano qualcosa, i carabinieri “modello base” – solidi e affidabili come la vecchia Panda 45 – sono pronti a sghignazzare. È una dinamica familiare e divertente, che ho conosciuto facendo cronaca nera e che ho voluto replicare nel mio romanzo.

Al vecchio maresciallo non piacciono i giornalisti: come sono oggi i rapporti tra la stampa e gli inquirenti?
Rispetto agli anni di Mani Pulite, che i colleghi anziani raccontano come la loro guerra del Vietnam, i magistrati oggi sono più riservati. Non c’è più il principio per cui “il cittadino deve sapere” tipico dei momenti più tumultuosi della vita di un Paese. In più c’è giustamente maggiore pudore per quanto riguarda fotografie di cadaveri e particolari della vita privata delle vittime.

Quanto la rete e la condivisione immediata di fatti e bufale ha cambiato il modo di fare giornalismo?
Molto. Vista la grande quantità di falsità che gira in rete, è diminuita la fiducia che i lettori e gli spettatori hanno nel sistema dell’informazione. Per contro, i politici e i potenti tendono a bollare come “fake news” tutte le notizie che danno loro fastidio, anche quelle vere: scandali, ruberie, furbizie varie. Questo aumenta la confusione nel pubblico. E per i giornalisti è sempre più difficile essere autorevoli e creduti.

Esistono ancora le soffiate?
Certo, per fortuna. Le informazioni confidenziali, che a volte si possono scrivere e a volte no, sono la base del nostro mestiere. La soffiata può arrivare dalle figure più diverse: il carabiniere, l’insegnante di liceo, l’amministratore delegato, il pubblico ministero, il metronotte, il politico, l’impiegata della Asl (che oggi si chiama Ats), il buttafuori, il consigliere di Municipio.

Uno dei personaggi prende dal tavolo una copia di un quotidiano: il Corriere della Sera . Perché non quello per cui lavori tu?
Nel romanzo cito diversi quotidiani compreso il mio, la Repubblica, che legge il magistrato Ciro Capasso. Ma è realistico che l’anziano avvocato milanese legga il Corriere! Fosse stata Roma, gli avrei fatto leggere il Messaggero. In generale, più giornali ci sono e meglio è. Non sono d’accordo con chi su Facebook scrive “bisognerebbe chiudere Libero” perché non ne apprezza i titoli. Libero offre un punto di vista diverso, che spesso non condivido, ma ben venga. Ci lavorano anche, ma direi soprattutto, bravi colleghi.

Quando hai capito che nella vita la scrittura sarebbe stata il tuo lavoro e anche il tuo hobby?
Lo ho capito studiando Disegno industriale al primo anno di università. Mentre analizzavo la grafica dei quotidiani, mi sono accorto che la parte che mi interessava di più era quella scritta. Da lì in poi, le cose sono successe per conto loro.

Se ti venisse affidato Steno Molteni come tirocinante, cosa gli diresti e cosa vorresti insegnargli?
Da Steno avrei solo da imparare! In generale, visto che è molto giovane, gli direi di non ascoltare i colleghi anziani che alla macchinetta del caffè ripetono che “il nostro lavoro è finito”. Lo dico anche ai miei studenti, al master in Giornalismo dell’università Cattolica: mai ascoltare chi ti dice che non ce la puoi fare. Soprattutto se a suo tempo ce l’ha fatta, e oggi ha un contratto a tempo indeterminato.

Ti sei posto dei limiti nella scrittura?
Più che altro, ho dei limiti. Anzitutto, non riesco a scrivere scene di sesso, mi fanno sempre un po’ ridere. Poi, non riesco a immaginare un libro senza Milano. Anche in questo romanzo, ambientato sul lago di Como, ho messo molto della mia città. Per me è inevitabile. Sono nato e cresciuto a Milano, non ho mai lavorato né studiato all’estero. Il più lungo periodo di assenza dalla città sono state le tre settimane di viaggio di nozze. Nella scrittura, come nella vita, sono Milano-dipendente. Lodi per me è già Esteri.

Il giornalismo ha delle regole che la letteratura può ignorare o aggirare?
Certo. Nella letteratura non c’è vincolo di verità, ma solo di verosimiglianza. Questo consente all’autore una libertà che – per chi è abituato a scrivere di persone vere e fatti veri – è inebriante e salutare. Inventare è bellissimo ma il giornalismo, se fatto seriamente, non lo consente.

Hai la possibilità di un crossover con un altro personaggio di fiction: con chi faresti interagire Steno e perché?
Mi piacerebbe fargli incontrare Hap e Leonard, gli investigatori privati inventati da Joe Lansdale. Un po’ perché sono un fan della sua serie. E un po’ perché vorrei vedere Steno, che di fondo è un fighetto, rapportarsi a due duri del Texas orientale. Secondo me è abbastanza furbo per cavarsela, ma non ci giurerei.

Ovvia domanda finale: progetti futuri? Tornerà ancora Steno Molteni?
Penso che Steno tornerà, ma non subito. Una trama di massima la ho in mente, e ogni giorno mi vengono nuove idee. Ma non ho fretta, anzi. Dopo “La regola del lupo” vorrei fare un anno intero senza scrivere (a parte qualche centinaio di articoli per il giornale, ovviamente) e dedicarmi il più possibile alla mia famiglia, che è il mio nido e il posto dove sto meglio. Ho un bambino di quasi due anni e voglio essere vicino a lui mentre crescere, non mi basta sapere dalla tata che sta bene.

Grazie a Franco Vanni per la disponibilità.
Qui la nostra recensione a La regola del lupo.

le foto di Franco Vanni sono di @Michele Corleone

Cristina Aicardi

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