“Un giorno anche lei potrebbe avere bisogno di un avvocato, Bruni. E certamente non sceglierà il più onesto”.
L’onestà, la toga, i codici, la legge.
Il terzo volume che racconta le imprese di Gianlorenzo Bruni nasconde coinvolgenti intrighi e macchinazioni e lo fa celandoli sotto il tessuto e i cordoni dorati della toga.
Ora, che sia proprio un avvocato a dover recensire l’ultimo lavoro di Piernicola Silvis è certamente un caso, ma far finta che quella toga sia sempre retta e limpida è una certa forzatura.
Soprattutto, poi, se la penna con la quale l’autore dipinge questo classicissimo giallo italiano è quella di chi ha rivestito l’incarico di Questore e che, pertanto, ha visto dipanarsi sotto i propri occhi vicende e accadimenti più che variopinti, così come variopinti sono i characters di questo romanzo. Sin dalle prime battute, infatti, il senso di familiarità con i personaggi è forte e palpabile, dai gesti, dai dialoghi, dai quali sembra quasi possibile udirne l’inflessione vocale, tanto gli attori di questo intrigo sono delineati con quella chiarezza con la quale l’autore già dalla prima pagina ci mette (apparentemente) davanti al mandante, all’assassino, all’arma, al depistaggio, al movente.
Ed è proprio quel movente, dipinto fugacemente, il fulcro attorno al quale ruota tutta la vicenda, dal momento che la vittima è un vecchio questore, reo di aver scritto troppo dopo aver puntato la propria su omicidi e stragi italiane che, sembrano voler presentare un conto oltremodo costoso all’ombra di un Vesuvio che resta attonito spettatore del gradevole intreccio intessuto da Silvis.
Un giallo classico, italianissimo nella sua connotazione narrativa e lessicale in cui il colore della città partenopea diviene imprescindibile mezzo di contrasto tra eventi e personaggi.