Ho cercato di creare qualcosa di non prevedibile. Intervista a Cinzia Bomoll – La ragazza che non c’era

Cinzia Bomoll, nelle librerie con La ragazza che non c’era , Ponte alle Grazie, ha accettato di rispondere a qualche nostra domanda.
Ricordiamo che l’autrice sarà ospite del Noir in Festival e presenterà il libro lunedì 5 dicembre alle
ore 17.30 – Libreria Rizzoli Galleria
interverrà con l’autrice Isabella Fava


La protagonista Nives Bonora è una donna complessa, dal carattere impetuoso e passionale che suscita subito simpatia per quello che rappresenta, e ammirazione per il suo acume investigativo. Ci parli di lei?
Nives prima ancora che un’investigatrice è soprattutto una donna, anche se non cresciuta del tutto. Ha delle ombre nel suo passato, ha avuto dei traumi legati alla famiglia slegata in cui è cresciuta, però questo ha formato in lei un carattere ribelle e allo stesso tempo combattivo. Lei le regole se le ricrea da sé, dando la priorità alla giustizia. Il suo fine giustifica i mezzi. Quello che vuole è aiutare le persone deboli, le vittime, i fragili e rendere loro giustizia, per questo è entrata in polizia. E se a volte le regole canoniche del suo lavoro le stanno strette non si fa remore a superarle o a non seguirle in vista di ciò che secondo lei è più giusto. Ha un sesto senso per cui spesso il suo intuito supera quello dei colleghi uomini, e per questo a volte deve subire battute o piccole discriminazione date dalla competizione di certi colleghi. Il complimento più bello riguardo la posizione femminile di Nives me l’ha fatta un lettore maschio che ha detto: “ Nives è una donna che lotta in un mondo di uomini contro gli uomini, ma la ferita più grande della sua vita l’ha ricevuta da una donna”. Già, forse perchè gli uomini possono fare molto male alle donne, ma quando una donna lo fa ad un’altra donna è ancor più doloroso, sarebbe inammissibile. Parlo a livello psicologico, ovvio. Non di violenza fisica, che quella è tutta un’altra faccenda.

“Ecco la mia vita: un perenne bungee jumping tra paradiso e inferno”. Anche le sue relazioni d’amore sono complicate, con alti e bassi continui
Sentimentalmente complessa, ama ma fugge l’amore. Ha paura dei legami forti perché non riesce a fidarsi mai del tutto di qualcuno, avendo sofferto in passato, specie l’abbandono della madre quando lasciò il padre e lei. Ne è rimasta segnata. Ogni volta che è stata felice, poi la felicità si è interrotta. Non ci crede più alle favole. Anzi non ci ha mai creduto. E fondamentalmente è molto indipendente e non riesce a scendere a compromessi con un uomo nemmeno per amore. In questo è ancora una ragazza con la sindrome di Peter Pan, o forse ha capito tutto, troppo, della vita, ma allo stesso tempo essendo passionale non scappa mai del tutto e si butta nelle storie a testa bassa, pagandone anche le conseguenze, perché poi non ce la fa.

Il paesaggio ha una funzione particolare nel libro, è in relazione con i personaggi. Il delta del Po, Ferrara, le nebbie, la solitudine sono davvero adatti a creare le atmosfere di un noir
Penso che le zone della bassa ferrarese e la val Di Comacchio si prestino molto bene ad avvolgere una storia noir. Da regista, trovo che dal punto di vista scenografico siano molto appropriate e affascinanti. Si avvertono una tensione e un mistero immediato. I personaggi stessi sembrano avere dentro di sé la nebbia in cui sono cresciuti. Nives prima di tutto, con il suo carattere talvolta riservato e ombroso. Ma come succede in queste terre che vanno verso il mare e la solarità, all’improvviso perfino Nives può trasformarsi in una allegra ragazza che ha desiderio di vivere appieno la vita coi suoi piaceri. Il perenne bungee jumping che si diceva prima, nel suo dualismo caratteriale, come le stagioni della sua terra.

Insolito e originale l’uso della “Sindrome di Lazzaro”, la morte apparente con risveglio per ripresa spontanea del battito cardiaco: è una forma rara, solo sei casi all’anno. Come ne sei venuta a conoscenza?
Parlando con un’amica medico legale che mi raccontava di una sua esperienza nell’ambiente di lavoro. Ne sono rimasta molto colpita. Penso sia la paura di tanti quella di essere chiusi in una bara e risvegliarci all’interno di essa troppo tardi, ne narra infatti spesso la letteratura, Poe su tutti… Ora coi mezzi moderni c’è più controllo proprio perché ci si rendeva conto che capitava più spesso di quanto si pensi. Ora il cadavere rimane 48 ore in osservazione sul tavolo di obitorio. E a volte il cuore torna a battere mentre sembrava fermo. E appunto la statistica clinica parla di una media di 6-7 cada all’anno solo in Italia. E’ una cosa pazzesca che mi ha ispirato questo dettaglio nel romanzo…

Il finale è aperto quindi possiamo aspettarci il seguito che racconti la storia dei personaggi e gli sviluppi della vicenda? e magari anche una serie televisiva?
Sto già scrivendo il seguito del romanzo e ne è previsto un terzo, d’accordo con l’editore ponte Alle Grazie. Si tratta di un romanzo seriale, dunque. Sì, le basi per un eventuale serie tv ci sono tutte. Io amo le serie, ne vedo tante, da quando ero ragazzina e sogno di realizzarne una, sarebbe davvero un mio sogno che si avvera. Se tratta da un mio romanzo, beh, sogno ancora più vicino al mio binomio di scrittrice e regista. Mi piacciono i romanzi seriali perché ci si affeziona al protagonista, e vuoi che ti accompagni per un po’. Nives è così.

Tu sei scrittrice e regista, hai scritto molto: a quale dei tuoi romanzi sei più legata e perché?
Per me i romanzi sono come figli, non si può chiedere a una madre quale figlio preferisce. Perché se anche in cuor suo predilige uno di essi non lo dirà mai. Posso solo affermare che questa trilogia del mio esordio nel giallo è un parto trigemellare… anche se sono tre gemelli che nascono a mesi l’uno dall’altro, sono stati concepiti insieme nella mia mente. Gli voglio bene. Come ne voglio bene alle altre mie craturine.

Racconta qualcosa sulla tua esperienza cinematografica
Ho iniziato a 17 anni a realizzare cortometraggi, tra amici, con zero soldi… e man mano ho capito che la vita del set era appassionante proprio perché lavoro di gruppo, per qualche settimana si diventa una famiglia, di pazzi, ma una famiglia. Mi piace questa collaborazione dove ognuno ha il suo ruolo e mette del suo. Il passaggio ai lungometraggi è venuto naturale dopo diversi cortometraggi. E’ quello che volevo, da subito, ma avevo necessità di fare gavetta. Ora al terzo film comincio ad essere un po’ soddisfatta, ma so che il meglio deve ancora venire. Non si finisce mai di imparare cosa fare e cosa non. Specie cosa non fare più.

Come hai iniziato a scrivere un giallo e cosa ti ha spinto a farlo?
Il giallo, insieme al noir e thriller psicologico sono i miei generi prediletti. Ho cercato di mettere insieme tutto ciò e provare a scrivere un qualcosa che mi “divertisse” mentre lo scrivevo. Una scommessa anche con me stessa. Ho cercato di creare qualcosa di non prevedibile, io in primis non volevo annoiarmi e dare per scontata la trama, anzi. Mi sono sorpresa io stessa, mentre scrivevo, di come la linea gialla si infittiva e accoglieva in sé aspetti imprevedibili. Poi mi sono affezionata a Nives, ormai ci parlo con Nives, la incontro nella quotidianità. E’ diventata un’amica  indissolubile. Per questo voglio che viva ancora di fianco a me e che non si fermi.

Hai cominciato da giovanissima la tua attività: fin da bambina pensavi di diventare una scrittrice? Ti piaceva raccontare storie e hai realizzato il tuo sogno?
Ricordo che avevo un diario, dall’età di circa sette anni, di quelli che ti regalano per la comunione, col lucchetto. Me ne avevano regalati due, ho iniziato a riempirli. A scuola ero una frana in matematica e mi interessava solo scrivere. Ricordo che in quinta elementare, per compito ci diedero un tema libero, la maestra non credette l’avessi scritto io. Non capivo perché non ci credesse, ci ero rimasta molto male. Le dissi: “Maestra, ne scrivo un altro qui , in classe, in venti minuti”. Mi inventai una storia fantastica, ufo, animali e bambini, che aveva lo stesso stile del tema del compito. Dopo la maestra mi chiese scusa per non avermi creduto. Ho sempre scritto per esigenza espressiva, per vivere in altri mondi e in altre vite. Non ho mai smesso, i diari sono diventati racconti e i racconti romanzi. Sinceramente non pensavo di fare la scrittrice, ma semplicemente di voler scrivere, anche per me, tenendo tutto nel cassetto. La gioia stava nel “durante” non nell’ipotesi di pubblicazione. Poi a un certo punto un amico, che scriveva anche lui, mi ha consigliato di mandare alle case editrici i miei scritti. E da lì ho realizzato che è stupendo sapere che c’è chi ti legge e prova emozioni leggendoti, e ti scrive e ti ringrazia. Beh questa sì è la parte più bella. Ti senti utile.

MilanoNera ringrazia Cinzia Bomoll e Ponte alle Grazie per la disponibilità

Tiziana Viganò

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