La sua è un’histoire D’O. Erotica, sensuale, morbida e voluttuosa come solo il cibo sa essere. Stiamo parlando di Davide Oldani, discepolo di Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse che con questo libercolo tratteggia la sua etica del gusto. Perché, come esiste un’educazione sentimentale che porti per gradi alla conoscenza dell’altro, deve essere progressivo l’avvicinamento ai sapori. Davide Oldani è a sua volta diventato un maestro. Un maestro molto particolare, come dimostra questo libro. Piuttosto che lasciar cadere dall’alto sapere ed esperienza, Oldani sembra porgere la condivisibilità , i principi (semplici, di buonsenso) che è venuto, quasi automaticamente, a scoprire nel suo percorso. Attraverso una strada. Che non è dritta, non è il rettilineo dell’ambizione ma il cerchio, l’andamento curvilineo di chi, andando, continua a poter contemplare la casa da cui è partito, ogni tappa, ogni sosta, ogni avvio, e la casa a cui tornare. La Cornaredo dell’infanzia, la Cornaredo dell’Oldani giovane promessa del calcio, diventa la sede del ristorante d’O, dove ora è il mondo a venire. E proprio perché è necessario ospitare il mondo, Oldani pensa a una cucina di ingredienti non inutilmente costosi, pensa a posate disegnate perché siano utili, a sedie e tavoli che siano comodi, a spazi fra tavolo e tavolo che stabiliscano, se è il caso, relazioni ma non impongano eccessiva vicinanza. Lui che ha imparato la vastità degli oceani, lui che ha appreso la peculiarità delle cucine internazionali, ci dice come tornare con leggerezza ai piatti tradizionali rinnovandoli dall’interno – zafferano e riso alla milanese, midollo di bue con scarola, vellutata di legumi, la celeberrima cipolla caramellata. Oldani ci parla, in questo libro, di princìpi condivisibili, di modelli comportamentali e imprenditoriali di grandissima essenzialità . Ci racconta di uno chef che non solo sta in cucina ma la pulisce quando è il caso, che sta dove si inventano i piatti con lo sguardo di un solerte padrone di casa. Che si trova a suo agio nella lode alla leggerezza di Calvino e la traduce nell’armoniosa affabilità dei sapori. Perché i sapori sono la culla dei saperi.
Il giusto e il gusto
bea buozzi