Il mostro dell’hinterland



Matteo Ferrario
Il mostro dell’hinterland
Fernandel
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Attraverso gli occhi del mostro.

Omicidi, femminicidi, omicidi-suicidi, stragi… Ormai quotidianamente siamo bombardati da notizie di cronaca nera. Eventi tragici, crudeli, ogni volta sembrano, se possibile, più orribili di quelli avvenuti in precedenza. Ed ogni volta ci stupiamo, inorridiamo, ci indigniamo… e soprattutto proviamo disprezzo per gli autori di tali orrendi fatti.

Matteo Ferrario, invece, nel suo nuovo libro – Il mostro dell’hinterland – è riuscito ad evitare quest’effetto. Anzi, via via che ci avventuriamo, pagina dopo pagina, nelle riflessioni personali e nei ricordi – immaginari, ma che traggono spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto  del protagonista, condannato all’ergastolo in via definitiva per duplice omicidio, iniziamo a provare una strana sorta di empatia, quasi “simpatia” per lui, finendo, sottilmente intrigati, per vedere ogni cosa dal suo punto di vista.
A raccontare, in prima persona, è Riccardo Berio, ingegnere, arrestato il 26 agosto del 2005 con l’accusa di duplice omicidio, vilipendio ed occultamento di cadavere. Vittime, i due zii, con i quali Berio aveva un rapporto difficile e contrastato, anche a causa dello stile di vita “allegro” tenuto dai due pensionati, decisamente in contrasto con quello schivo, solitario, quasi eremitico, del nipote.
Pagina dopo pagina, Berio, dalla sua cella, esprime i suoi pensieri, le sue riflessioni ed i sentimenti più profondi. Impresa tutt’altro che facile visto il suo carattere chiuso ed introverso.
Il protagonista ripercorre, anche grazie al ricordo di un’intervista rilasciata tempo prima, la sua vita prima e dopo il “fattaccio”, ma sempre senza astio e rancore verso alcuno.
Un linguaggio sciolto e piacevole, pervaso da una sottile ironia, uno sguardo disincantato verso la vita e la realtà umana circostante.
Ferrario ci offre l’occasione per entrare nella mente di quello che viene comunemente definito “un mostro”. Gli fa mettere a nudo sentimenti, emozioni ed anche paure.
L’obiettivo è quello di far emergere il lato umano del protagonista – colpevole od innocente che sia – e di offrire il suo personale e coinvolgente punto di vista. Obiettivo, a mio parere, senz’altro conseguito. E, alla fine, un dubbio ci resta: il colpevole è davvero tale?

Gian Luca Antonio Lamborizio

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