“Il gioco delle tre carte” secondo Marco Malvaldi



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“Il gioco delle tre carte” secondo Marco Malvaldi
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Pineta, paesino della Toscana. Attorno al BarLume gravitano diverse esistenze. C’è Massimo, barista sui generis, mezzo matematico, mezzo sarcastico, ma poco diplomatico; seguono quattro terribili vecchietti, che come gli Amici miei sembrano fatti per tormentare il vicinato. Accade anche che, durante un convegno, muoia un professorone giapponese e che il carattere curioso di Massimo lo porti a dare una sostanziosa mano alle indagini.

Il gioco delle tre carte segue la struttura narrativa dell’esordio di Malvaldi, La briscola in cinque, sempre per Sellerio. Limate alcune ingenuità del debutto, la storia si fa più fitta, meglio congegnata, più intrigante, scritta con penna sagace, non priva di umorismo. L’arma più tagliente è l’ironia con cui l’autore affronta i fatti. Lucida, stimolante, è un romanzo in presa diretta, privo di indecisioni, pur scegliendo, di volta in volta, strade differenti, a metà tra giallo e commedia.
Malvaldi riesce a insinuare dubbi e idee sottopelle, rileggendo a suo modo la realtà provinciale e offrendo, con piglio e personalità, uno spaccato quotidiano per nulla banale. È nei dialoghi, nelle situazioni ordinarie, nei dettagli psicologici che vien fuori la storia, da sola, emergendo per quello che è: sentita e originale.

Abbiamo approfittato dell’uscita del libro, pubblicato da Sellerio, per scambiare quattro chiacchiere con il suo autore.

Come nascono i tuoi romanzi?
Le mie storie nascono dal trovare dei modelli semplici che siano in grado di rappresentare una certa situazione umana in modo efficace. In partenza penso ad un gioco, e tento di trovare una storia che sia adeguatamente simile al gioco in questione.
Nel mio primo libro, la briscola in cinque era una sorta di metafora della trama di un giallo. Il mazziere gioca in coppia con la persona che ha in mano una determinata carta, e contro tutti gli altri. Esattamente come in un’indagine poliziesca: se tutti dicessero la verità, si potrebbe chiedere ai sospettati se sono colpevoli, però il giallo finirebbe a pagina tre.

Come sono nati, invece, i personaggi che gravitano attorno al BarLume?
I miei personaggi sono un misto di persone reali e fantasia, come ogni personaggio che si rispetti, credo. Ampelio è un ritratto fedele di mio nonno Varisello, e molto di quello che dice l’ho sentito dire direttamente a lui. Massimo è un misto di un barista reale, matematico di formazione, lettore onnivoro e curiosissimo, e di Marco, un ristoratore mio amico: entrambi i figuri hanno una discreta intelligenza, e una scarsa propensione alla diplomazia.

Quali differenze ci sono tra il primo e il secondo romanzo?
Il primo romanzo l’ho scritto per mio puro divertimento, nei momenti di calma, e mettendoci circa quattro anni. Il secondo è stato scritto in nove mesi, fra l’altro in un periodo personale non esattamente esaltante. Credo che il primo sia più umoristico, mentre il secondo abbia una storia un po’ più intrigante.

Perché sei approdato al giallo? E’ stata una scelta premeditata, voluta?
Il giallo è stata una scelta quasi obbligata, dato che sono le mie letture preferite. Fra l’altro, alcuni dei miei scrittori preferiti (Durrenmatt e Sciascia) possono essere considerati a buon diritto dei giallisti. Credo che il giallo sia il genere di evasione per eccellenza.

Stai già lavorando a un nuovo romanzo?
Al momento sto scrivendo un altro romanzetto ambientato al BarLume. Poi, si vedrà. Per ora sono affezionato ai miei pupazzetti, ma non mi dispiacerebbe vedere se sono in grado di uscire dal bar senza pagare un conto troppo salato.

matteo di giulio

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