L’avventurosa vita dell’uomo che aveva ispirato Il Principe a Niccolò Machiavelli (che poi però meditò meglio e decise di dedicarlo a Giulio II), raccontata da Giulio Leoni, uno dei più geniali scrittori di thriller e fiction storica italiani. Cesare Borgia, cardinale, guerriero, figlio legittimato di papa Alessandro VI e di Vannozza Cattenei, politico ambizioso, poi “scardinalatosi” dopo l’assassinio del fratello Juan duca di Gandia, duca di Valentinois (italicamente il “Valentino”) per volere di Luigi XII di Francia dopo il suo matrimonio con Charlotte d’Albret sorella del sovrano di Navarra, è stato quel condottiero che dopo aver riempito i libri del Guicciardini e Machiavelli, ha fatto volare la penna di tanti saggisti e romanzieri. Giulio Leoni, stavolta, intraprende la sua impresa narrativa prendendo di petto questo protagonista della storia e regalandogli una sfaccettatura abbastanza diversa da quelle finora conosciute, il sogno di calcare le orme di Alessandro il grande. Di assoggettare un nuovo mondo. E perché mai Cesare Borgia non avrebbe potuto sognare di affrontare l’oceano con un esercito, imbarcato su navi amiche, pronto a scoprire territori lontani e a conquistare nuove realtà? Imola, dicembre del 1502. Asserragliato in città con le poche truppe ancora fedeli, in difficoltà, in attesa di rinforzi da Roma, Cesare Borgia si trova a dover fronteggiare lo spettro della fine di un grande miraggio: dominare l’Italia. I capitani di ventura: Oliverotto da Fermo, Vitellozzo Vitelli e gli Orsini, che l’avevano sorretto, con il loro braccio e i loro uomini, non vogliono più continuare, anzi sono pronti a tradirlo. Le truppe promessa dal pontefice suo padre non arrivano. Cesare è in preda alla sconforto, minato dallo strisciante avanzare della sifilide, che lo costringere a celare il volto dietro una maschera nera per coprire le piaghe e lo mette a dura prova. Quello che pensa e vede è realtà o solo insana fantasia? La mente lo rimanda ai fantasmi del passato. In una disordinata serie di flash back che si sovrappongono, evoca l’infanzia con i fratelli a Subiaco sotto la guida di precettori e spietati maestri d’armi, la giovinezza, come studente a Pisa, la sua folle aberrazione di voler sfidare il male, l’ingresso di Michelotto Corella nella sua vita, l’elezione a papa di suo padre, gli sconsiderati amori, il privilegiato rapporto con Lucrezia, la sorella, le glorie, a cominciare dalla vittoriosa occupazione al fianco dei francesi del ducato di Milano alla testa dell’esercito pontificio. Vittoria esaltata dalla sconfitta e prigionia del Moro, che gli aprirà la strada per la Romagna. La conquista di Imola e l’anno dopo, Forlì. Tra il 1500 e il 1501, avvalendosi di ogni mezzo e dell’alleanza di potenti condottieri, assoggetterà Cesena, Faenza, Rimini, Pianosa e Piombino, stipulando un patto di alleanza con la Repubblica di Firenze, che gli invia come ambasciatore Niccolò Machiavelli. Nel 1502, scomunicato il re di Napoli, il Borgia conquista barbaramente Capua. La sua mira ora si sposta su Urbino, dove però riceverà una severa sconfitta da parte della lega dei Condottieri, formata dai capitani di ventura che lo avevano aiutato a costruire il suo reame in Romagna. Mentre il fantasma di Juan, del fratello assassinato, lo sfida ossessionando le sue notti e la profezia della bruja, che gli misura drammaticamente il tempo del suo potere: il suo destino di gloria è segnato, appena mille giorni, solo la complice fedeltà di Michelotto lo sostiene ancora allontanandolo dalla follia. Ma quasi a segno di benevolenza divina, le vedette annunciano il ritorno di Leonardo da Vinci, l’uomo a cui ha affidato il compito di studiare nuove strutture e macchine da guerra. Una luce di speranza, atta a schiarire le dense nuvole nere che si addensano sui suoi domini si accende nella cupa fortezza in cui si è rifugiato. E non sarà solo l’offerta di innovativi e terribili strumenti di distruzione a risollevare l’animo di Cesare. L’arrivo del maestro riaccende anche quella reciproca curiosità che si era venuta a creare a Milano, tre anni prima, mentre Leonardo era intento a dipingere l’Ultima cena. Il dialogo tra loro si esprime in un dibattito tra due visioni del mondo che appaiono agli antipodi, benché entrambe prigioniere di una spasmodica voluttà di bellezza: bellezza che l’artista sa trarre dalla rappresentazione dell’armonia e la plasticità del corpo umano, bellezza che invece per il condottiero sta nella forma di un grande progetto politico, con una terribile visione sulla morte. Possibile che l’orrore non sia che il rovescio della bellezza. Nella loro simile lotta contro ogni limite, Cesare e Leonardo esplorano insieme affinità e differenze. Ed evocando i tanti ricordi del passato, minato dagli squarci della difficile giovinezza di Cesare, prende corpo l’intuizione su come superare con un colpo magistrale l’attuale stallo: quando Leonardo gli spiega il progetto della sua Battaglia di Anghiari, con per fondamento e cardine la rappresentazione della crudeltà umana, nella mente del Borgia si forma, poco a poco, il disegno che dovrà rappresentare il capolavoro politico del suo genio. Grazie alle informazioni ricevute da Machiavelli sulla Congiura di Magione con gli ex alleati che gli si sono rivoltati contro, fingerà di voler stipulare la pace con loro, attirando in una diabolica trappola i suoi vecchi capitani che farà eliminare con disumana ed efferata crudeltà.
Come sempre Giulio Leoni sa il fatto suo e non lascia calare la tensione narrativa, neppure quando si sofferma sulle descrizioni pittoriche, ingegneristiche e architettoniche o quando mette nella bocca dei suoi personaggi motivate riflessioni filosofiche. La straordinaria ecletticità della sua scrittura sta nel mischiare elementi di esoterismo, suspanse, frammenti di psicologia, vedi la continua angoscia del protagonista di doversi sottomettere al destino, e infine il saper mischiare e sovrapporre storia e romanzo. Il suo Niccolò Machiavelli è intelligente, affabulatore e cattivo quanto basta. Leonardo è un Leonardo forse più evanescente, gli anni passano, il genio dubita? Cesare Borgia un mostro, ma quanto delle sue aberrazioni potrebbero essere ascrivibili alla malattia che lo divora? L’etica di allora era colpire per primo, uccidere per non essere ucciso e piantiamola di guardare al passato con il nostro metro attuale (purtroppo però anche al giorno d’oggi gli esempi di orrore si sprecano e sembra che tornino a far spettacolo).