L’opera lirica è un paradigma eccezionale della realtà. Intervista a Giancarlo De Cataldo – Io sono il castigo

Per l’uscita di Io sono il castigo,Einaudi,  la redazione di Milano Nera ha il piacere di intervistare Giancarlo De Cataldo.
Iniziamo da Manrico Spinori, anzi Manrico Leopoldo Costante Severo Fruttuoso Spinori della Rocca dei Conti di Albis e Santa Gioconda, un magistrato romano di origini nobili. Vuoi presentarlo ai lettori?
Fra i 50 e i 55, alto, magro, capello grigio, baby face, bellezza naturale, origine aristocratica ma di una famiglia nemica della nobiltà nera romana, diciamo pure progressista. Non ha mai avuto bisogno di sedurre perché si è amabilmente lasciato sedurre, possiede quell’inafferrabile segreto che lo rende gradito alle donne (ma neanche lui sarebbe in grado di spiegare il perché). Patrimonio rovinato da una madre ludopatica, matrimonio finito alle spalle (ma i rapporti con la ex sono cordiali), un figlio aspirante musicista. Un presente di PM garantista, uomo pacato, riflessivo, ironico, ostile agli urlatori di mestiere, ai leoni da tastiera, agli “ambiguofobi” che non coltivano mai il dubbio (quindi, in pratica, a tutto ciò che va di moda). E’ convinto che non esista situazione umana, incluso il delitto, che non sia stata raccontata da un’opera lirica, e per questo nel risolvere i casi cerca l’opera di riferimento. Ah, e naturalmente non gli dispiacerebbe incontrare un grande amore (se potesse farlo senza deludere tutti gli altri amori che incontra lungo la sua strada)

In Nebbia di Miguel de Unamuno il protagonista Augusto Perez nelle pagine del romanzo incontra proprio Miguel de Unamuno per chiedere consiglio. Come reagiresti se alla tua porta bussasse Manrico Spinori?
Penso che ci metteremmo a discutere su quale sia la più bella aria del melodramma italiano. Ma poi perché solo italiano? Non dimentichiamo Wagner e Bizet, tanto per non far nomi. Scherzi a parte, Manrico nasce anche dalla mia diffidenza (lo accennavo sopra) per gli sputasentenze e gli arroganti. Quindi con lui si può intavolare una piacevole conversazione dai toni morbidi. Il che non vuol dire neutri o vuoti. Vuol dire che si può parlare di tutto senza azzannarsi alla gola. Merce rara di questi tempi.

Roma è una città millenaria, tu hai avuto il merito di raccontare – molto bene – momenti chiari e scuri nelle diverse epoche storiche. Il nostro è un tempo di transizione, c’è molta incertezza, quali sono gli strumenti necessari per raccontare il crimine e la società di oggi?
Ci sono solo due moventi per ogni delitto, ammoniva Balzac: l’oro e la passione. Vale a dire l’interesse venale, economico, e quei moti di distorsione dei sentimenti che inducono al crimine. Anche i delitti politici o quelli commessi da chi è affetto da turbe mentali sono assimilabili a una di queste due categorie. Questa legge, della cui validità sono profondamente convinto, va naturalmente declinata in chiave storica, adattata al gioco mutevole dei contesti geografici e delle dinamiche di politica criminale. Più che cambiare i delitti, cambiano i delinquenti, così come cambia il territorio nel quale agiscono. In tempi di crisi economica avremo un’accentuazione di delitti contro la proprietà, per esempio. Quindi ogni racconto criminale, secondo me, contiene in sé una parte di tradizione- la ricerca del Santo Graal della verità, la contrapposizione fra bene e male, con tutto ciò che ne può derivare in termini di ambiguità e confusione- e una parte strettamente legata all’evoluzione del costume, della società, della scienza. In un momento di passaggio, dunque, la tonalità predominante sarà un grigio sfumato tendente al nero slabbrato.

Da dove nasce la tua passione per l’opera e vorrei chiederti come mai Manrico la usa spesso per fare il punto delle indagini. Si tratta davvero di un paradigma utile a reinterpretare la realtà?
Mi pare di averlo detto prima, l’opera stessa è un paradigma eccezionale della realtà. E oltretutto aiuta a vivere meglio: se entri in quel mondo, e io lo dico da semplice spettatore ascoltatore, non ne esci più, devi abbandonare le difese razionali e lasciarti catturare dalle emozioni. Poi, ovviamente, in Manrico c’è una evidente presenza di giocosità letteraria, ma questo fa parte del personaggio.

C’è differenza tra giustizia e castigo?
Il castigo deve seguire l’ingiustizia, come forma di doverosa riparazione. Il problema è che a ogni violazione deve seguire la giusta sanzione. Misura per misura, come diceva Shakespeare. Altrimenti la giustizia si fa vendetta. E fra vendetta e giustizia corre un abisso. Quello che divide le società primitive dalle civilizzate.

Grazie a Giancarlo De Cataldo per la disponibilità e vi consigliamo la lettura del suo nuovo romanzo Io sono il castigo. Qui trovate la nostra recensione.

 

Mirko Giacchetti

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