Casabona è una persona che per mestiere ha scelto di affacciarsi nell’abisso dove si nasconde il lato oscuro dell’uomo, quello che da sfogo alle peggiori pulsioni che generano il male. L’Italia è il paese dei campanili, dei borghi, delle micro entità territoriali che vengono da lontano. Dal medioevo, spesso. E’ ovvio, quindi, che è proprio nella provincia che si concentrano la maggior parte dei crimini di sangue. Per questo motivo si presta alla narrazione noir in un modo originale rispetto ad altre scuole di questo genere letterario. Credo che il vero giallo italiano trovi una sua peculiarità proprio quando è ambientato nella provincia.
Metodi investigativi legati alla tua professione e finzione letteraria. Come li mescoli?
La credibilità dei metodi investigativi risente senza dubbio del mio percorso professionale. Ma scrivo solo quello che è già conosciuto, quello che non si può raccontare me lo tengo per me. I casi, invece, sono inventati. Spesso vengono da suggestioni generate da fatti di cronaca appresi dalla stampa. In ogni caso molto lontani da ciò di cui mi sono occupato nella realtà.
Certo che lo vedrei bene in tv oppure, anche meglio, al cinema per la profondità del personaggio e la complessità del plot narrativo.
Ormai Casabona è legato all’immaginaria Valdenza, che prende molto da Pistoia, la città dove vivo e lavoro. Una delle più belle della Toscana, quest’anno anche capitale italiana della cultura. Questo è e rimarrà un punto fermo.
Arte, letteratura, credenze e leggende nel Metodo della fenice. Come procede il tuo metodo di ricerca e quanto ci metti delle tue letture personali?
Io sono un appassionato di storia e nei miei libri si vede. Ci sono sempre riferimenti al passato, che sia letteratura, mitologia o arte. Parto quindi dalle mie letture pregresse, per il resto ci pensa il signor Google:
In ogni romanzo dedichi una parte alla scena del crimine. Che rapporto ha Casabona con quel luogo di morte e con la morte?
E’ un rapporto tormentato, ne farebbe volentieri a meno ma fa parte del suo lavoro. In qualche modo riesce ad un unire l’approccio tecnico, necessario per conservare lucidità ed efficienza, con l’empatia che gli viene dal rispetto per il dolore delle vittime. Queste due diverse esigenze gli procurano sempre una lacerazione interiore che ha imparato a medicare.
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