Intervista a Gigi Paoli – Il respiro delle anime

Dopo Il rumore della pioggia, uscito nel 2016, è ora in libreria la seconda fatica letteraria di Gigi Paoli, Il respiro delle anime, sempre per Giunti Editore.

51IjnVHZAEL._SX347_BO1,204,203,200_Gigi, dopo essere stato per parecchi anni responsabile della cronaca giudiziaria della Nazione di Firenze, è ora caposervizio della redazione empolese e vive a Prato con la figlia.

Gigi, la prima domanda è di prammatica; descriviti in poche righe agli amici di MilanoNera.
Ho 46 anni, vivo con mia figlia Lucrezia e la mia gatta in una casa piena di libri. Amo il mio lavoro e, come ripeto spesso, l’unica cosa che so fare nella vita è scrivere. Cosa che però non aiuta molto quando devi cambiare una lampadina o appendere un quadro a una parete. E ho una santa donna come fidanzata che mi sopporta.

Dopo essere stato per anni “solo” giornalista, come e quando hai scoperto questa tua brillante vena letteraria?
Sono giornalista per passione, fin dai tempi della scuola, e scrittore per caso. Ho iniziato come sfida personale. Mi sono detto: “ehi, hai letto tanti gialli in vita tua, perché non provi a scriverne uno?” L’ho fatto, è piaciuto ad alcuni amici e così l’ho spedito in giro per email, senza conoscere nessuno. Ed eccomi qui.

 Veniamo alla tua ultima creatura, Il respiro delle anime. Parlaci un po’ di questo libro.
È un libro completamente diverso dal primo, che era di fatto più “semplice”. Qui si parte da un incidente stradale e si finisce molto più lontano. E se il primo libro è ispirato in parte a una storia vera, un delitto irrisolto di tanti anni fa a Firenze, questa vicenda è tutta di fantasia. O meglio: la storia è di fantasia, ma i contenuti, anche quelli scientifici, e i luoghi sono tutti veri.

Un altro (bellissimo, aggiungo io) romanzo ambientato nello splendore di Firenze. Tanti i precedenti illustri. Come mai secondo te questa città si presta così bene anche a storie gialle e a veri e propri thriller?
Firenze è lo sfondo ideale per ambientazioni cupe e oscure. Sembra una città luminosa, in realtà è buia, inquietante, gravata da una storia antichissima che narra molto spesso di violenze e atti tutt’altro che buoni. La Firenze luminosa è solo quella che si dà in pasto ai turisti; la Firenze dei fiorentini, di chi la vive quotidianamente, è ben diversa. Anche la luce o il caldo in questa città non sono “puliti”, bensì polverosi, appiccicosi, quasi fastidiosi.

gigi-paoli-foto-bn-PM1EGHSBDalle pagine del tuo libro emerge evidente tutta la bellezza della splendida “capitale” (passami il termine) toscana. Fascino immutato dal Rinascimento oppure, secondo te, anche Firenze sta cambiando nel corso degli ultimi anni?
Il Rinascimento è morto tanto tempo fa e Firenze si aggrappa alla sua gloria passata per tentare di sopravvivere ai tempi che cambiano. Certo, come Venezia, questa città è unica e irripetibile, ma assomiglia sempre più a quelle casette rinchiuse dentro una palla di vetro. È lì, ferma, cristallizzata, con i fiorentini che rivendicano in faccia al mondo l’esser di Firenze. Ok, e poi? In fondo, Firenze è quattro strade e un forno dove si sa tutto di tutti, in particolare i lati oscuri.

Come ti è venuta l’ispirazione per questa storia piena di misteri e di suspense, ambientata in luoghi che tu ovviamente conosci benissimo, avendoci lavorato per anni?
Diciamo che sono partito da un particolare che ha molto peso nel libro e che non posso ‘spoilerare’, come dicono oggi i teenager. Da lì mi sono messo al tavolino e ho costruito una storia, partendo appunto da una cosa banale come un incidente stradale. Ma a Firenze niente è come sembra. Poi, mi regala grande soddisfazione sentire dagli stessi fiorentini che ho fatto scoprire loro dei lati della città che non conoscevano. Figuriamoci allora per chi sta ad Aosta o a Trapani.

Parliamo del protagonista del libro, il cronista di giudiziaria Carlo Alberto Marchi, giornalista tenace e coraggioso, sempre ovviamente alla ricerca dello scoop ma dotato di una sua ferrea “morale” anche professionale. Quali i punti di contatto con il tuo carattere e la tua storia personale?
Marchi mi è ovviamente molto vicino. Facciamo, anzi, facevamo lo stesso lavoro (io ho smesso con la cronaca giudiziaria dopo tanti anni); viviamo entrambi soli con una figlia (la mia però ha 15 anni); e siamo molto simili nel modo in cui ci confrontiamo con la vita, cercando di superare le difficoltà quotidiane, che sono tante, con un sorriso. A differenza mia, però, Marchi è ancora molto incasinato con le donne. Io per fortuna ho trovato la mia metà.

 Nel teatrino della redazione in cui Marchi lavora e nell’orribile palazzone degli uffici giudiziari compaiono bellissimi e pittoreschi “comprimari”. Hai preso qualche spunto dalla realtà o è tutto frutto di fantasia?
Alcuni sono veri, altri inventati. L’Artista, per esempio, il collega di Marchi che segue la cronaca nera, esiste davvero ed è stato il mio compagno di banco alla cronaca di Firenze per quindici anni. Così come il magistrato che indaga nel primo libro è molto affine a un sostituto procuratore molto bravo di cui ho il piacere di essere amico. Insomma, io penso che si debba sempre scrivere di quel che si conosce e così ho cercato di attingere alle mie conoscenze. E credo che i miei libri piacciano anche per questo: perché sono frammenti di vita reale, non fiction.

Carlo Alberto Marchi è un padre single alle prese con Donata, la figlia alle soglie dell’adolescenza, tenera ma anche un po’ pestifera. Ti sei ispirato a qualcuno in particolare per questo riuscitissimo personaggio?
A me e a mia figlia Lucrezia. Il nostro rapporto è proprio uguale a quello dei libri. Vi posso assicurare che le scenette fra i due personaggi non sono assolutamente inventate ma tutte realmente accadute.

Quanto ti ha aiutato a scrivere questo libro la tua lunga esperienza di cronista di giudiziaria, lavoro per il quale, fra l’altro, traspare in ogni pagina tutto il tuo amore?
Moltissimo. Anche solo per la documentazione. Ho la fortuna di avere tanti amici magistrati, avvocati, poliziotti, carabinieri o medici legali cui chiedere chiarimenti per non scrivere stupidaggini e per far sì che tutto sia sempre credibile. E poi, sì, dopo quindici anni da cronista di giudiziaria conosco un certo tipo di dinamiche all’interno di un’aula di giustizia piuttosto che nelle stanze della procura o della questura. E questo mi aiuta molto. Ripeto: bisognerebbe sempre scrivere di quel che si sa. A volte, da lettore, mi è capitato di leggere delle cose che sarebbero davvero impossibili in un’indagine reale.

 Ne” Il respiro delle anime”  accenni anche a scenari un po’ inquietanti, quasi fantascientifici, facendoli apparire assolutamente reali e possibili… Davvero le ricerche in certi campi (e non diciamo altro, per non togliere ai lettori il piacere della lettura) sono così avanzate?
Tutto quel che c’è di scientifico nel libro è vero. Le ricerche sperimentali, in particolar modo in campo militare, sono in fase molto più avanzata di quanto si possa credere. Le mie ricerche si sono concentrate sugli Stati Uniti, dove questo processo è molto “effervescente” e allo stesso tempo c’è tanta documentazione disponibile e consultabile on line. Ma certi dettagli fanno quasi paura e anche io, talvolta, ho dovuto approfondire le mie ricerche per arrivare a rendermi conto che quello che avevo trovato era vero. Non ci credevo neppure io.

Allarghiamo il discorso… com’è oggi lavorare nella redazione di un importante giornale “di carta” e come è cambiato negli ultimi anni il vostro lavoro?
Siamo in una fase di transizione. La carta e il pixel per alcuni sono incompatibili e molti pensano che il computer cannibalizzerà i giornali tradizionali. Io non credo ma è un dato di fatto che le persone comprano sempre meno i giornali, soprattutto in questo paese dove la percentuale di lettori di libri e giornali è quasi imbarazzante. La gente si abbevera alla televisione e, ancor peggio, ai social network, dando spesso corda a vere e proprie bufale pericolose. I giornalisti, invece, dovrebbero servire anche a questo: a spiegare la verità, a dividere il vero dal falso. Ma è sempre più difficile. E i giornali perdono copie. Non è facile.

Davvero la carta stampata è in crisi profonda?
Sì, la crisi è innegabile, ma per me la carta stampata ha ancora un futuro. Basti pensare all’esempio recente del Washington Post acquistato dal fondatore di Amazon, Jeff Bezos. Bezos ha riportato il giornale in attivo, aumentando le copie e assumendo nuovo personale facendo la cosa più semplice del mondo: lasciando fare ai giornalisti quello che sanno (dovrebbero sapere) fare. Trovare le notizie e scriverle, possibilmente in modo comprensibile a tutti, in modo semplice. Bezos ha affiancato ai giornalisti ‘tradizionali’ una serie di figure esclusivamente tecnologiche così da usare il prodotto giornalistico su più piattaforme diverse. Così la carta si unisce al pixel e si rafforzano entrambe. Altro è se si pensa ai giornali come un semplice copia e incolla di comunicati stampa. Questo il lettore può trovarlo su Internet, gratis. La carta stampata deve (dovrebbe) dare qualcosa di più.

Un’ultima domanda che sicuramente starà a cuore a molti amici di MilanoNera… Possiamo sperare di vedere ancora all’opera Carlo Alberto Marchi?
Anche io lo spero. Proviamo a chiederlo insieme alla Giunti?

 

 

Gian Luca Antonio Lamborizio

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