Jonathan Trigell

Boy A (Isbn) è la storia di Jack, che ha 24 anni ed è come se fosse appena nato. Non si è mai ubriacato, non ha mai avuto una ragazza, non si è mai regalato un paio di scarpe. Jack non è il suo vero nome, se lo è scelto da solo. Ha passato quasi tutta la vita in prigione, e ne è uscito con un lavoro, una diversa identità e un amico, Terry. Terry è il suo tutore, l’unico che sappia chi sia veramente Jack. Jack cammina libero nella sua nuova vita, mentre la gente si interroga su dove sia, ora, il mostro che anni prima ha compiuto un crimine spaventoso. Che un mostro si nasconda in Inghilterra, e che possa essere stato perdonato, per l’opinione pubblica e i tabloid è qualcosa di intollerabile. Una bomba a orologeria.
Indirettamente ispirato a un vero fatto di cronaca del 1993, l’assassinio del piccolo James Bulger per mano di due bambini poco più grandi, Boy A è un romanzo d’esordio struggente e appassionato. Il lucido, spietato racconto di come sia difficile lasciarsi il passato alle spalle. Da Boy A è stato tratto l’omonimo film con Andrew Garfield e Peter Mullan.

MilanoNera ha incontrato Jonathan Trigell, vincitore della seconda edizione del Premio Speciale Edoardo Kihlgren Opera Prima – Cariparma per una letteratura europea.

Chi è Jonathan Trigell?

Sono un giovane ragazzo, anzi, un giovane scrittore inglese. Vivo in Francia, a Chamonix. Mi piacciono molto la montagna (fa il maestro di sci, ndr.) e i cani.

Ho letto che Boy A è nato come una tesi di scrittura creativa. Ma com’ è nata la tua passione per la scrittura?

Sin da quando ero piccolo mi sono accorto di avere un unico talento: la scrittura. Ho iniziato a scrivere poesie (molto brutte) ai tempi dell’università. Quando ho iniziato a frequentare il corso di scrittura in realtà avevo già scritto qualche capitolo di Boy A, il corso mi è servito ad incanalare la mia creatività in maniera più concreta. Molto di quello che scrivo lo baso su esperienze personali, anche quando si tratta di cose che non mi sono mai accadute. L’idea di scrivere Boy A, ad esempio, mi è venuta una notte, mentre parlavo con alcuni amici. L’idea di qualcuno che appare all’improvviso nel mondo, da adulto, con l’innocenza per le cose fondamentali, e con la paura che un suo segreto del passato possa essere svelato.

Qual è il tuo scrittore preferito?

Ho letto molto di James Ellroy, adoro la sua concisione. Mi piace molto anche John Updicke. Purtroppo è morto poco tempo fa, ma l’anno scorso mi ha scritto una lettera: ne vado molto fiero e quando mi è arrivata mi ha commosso. Da lui ho imparato che la prosa per essere bella, non deve essere per forza laboriosa ed elaborata.

Se consideriamo la distinzione tra giallo e noir, secondo la quale il primo cerca di scoprire l’assassino, mentre il secondo cerca di risalire alle motivazioni del delitto, il tuo romanzo può essere considerato un noir.

Quando ho scritto Boy A, non avevo intenzione di raccontare una storia noir, ma quando il romanzo è stato tradotto in Francia, è uscito per le Editions Gallimard, poi sono stato invitato a molti festival di letteratura noir. Ed è proprio durante questi festival, incontrando molti autori e discutendo con loro, che ho scoperto che i noiristi francesi trattano nei loro romanzi di politica e società, cercando di risalire al perché, alle motivazioni alla base dei reati. Solo allora ho capito che il mio romanzo poteva essere considerato un noir.

Hai raccontato in Boy A la costruzione di una vita. Hai annullato tutte le tue conoscenze e esperienze, cercato di viverle come se fosse la prima volta. In una nota, il tuo traduttore (Tommaso Biancardi) ha scritto che grazie a te è riuscito finalmente ad imparare ad usare la funzione asciugatrice della lavatrice..Quanto è stato difficile per te scrivere questa storia?

Ho semplicemente cercato di condensare tutto quello che ho imparato negli ultimi dieci anni della mia vita, dai 15 ai 25. Anche io ho fatto le stesse esperienze di Jack- ho imparato ad usare la funzione asciugatrice, ho bruciato il cibo, mi sono sbronzato per la prima volta-, solo che ci messo dieci anni. Lo sforzo maggiore è stato quello di ricordare questi momenti di passaggio della mia vita e cercare di condensarli in quindici giorni.

Boy A racconta anche la difficoltà dei rapporti tra padri e figli, rapporti che in apparenza sembrano perfetti..

E’ un dato di fatto che un certo numero di adolescenti commette dei reati perché la figura paterna è inesistente o assente, oppure esiste ma è un cattivo esempio. Sicuramente questo non è l’unico problema: esistono anche altre cause scatenanti, come la povertà o l’abuso di minori. La scelta di scrivere di rapporti padri figli, come quello che vivono i protagonisti, è deliberata.

Prossimi progetti?

Ho scritto un secondo romanzo, Cham (che si svolge a Chamonix), pubblicato in Inghilterra. Anche qui è storia che si svolge a  posteriori, solo che il protagonista è più grande di Jack. Per sfuggire al suo passato si ritrova a d andare a feste, bere tanto, o a fare sesso con degli sconosciuti. E’ stato paragonato a The beach, il film con Leonardo di Caprio, solo che l’ambientazione è diversa. A Chamonix, nonostante abbia solo 100mila abitanti, esiste un molta delinquenza. E sto lavorando ad un terzo progetto: Genesis.

Francesca Colletti

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