Susan, Alex e la loro piccola Emma traslocano. New York finalmente dà loro la possibilità di godersi uno spazio maggiore e Brooklyn è un gran bell’abitare. La casa sembra essere fatta proprio per loro e la padrona di casa, la signora Scharfstein, è quanto di meglio ci si possa augurare. Si parte con una nuova vita, dunque.
Certo. Ma non esattamente secondo le previsioni. Perché Susan incomincia dapprima a sentire un odore non proprio gradevole, poi nota che sulla federa di un cuscino compaiono macchie di sangue e infine che sulla sua stessa pelle ci sono segni di cimici. Il caso è strano perché è l’unica a percepire quell’odore e né il marito né la figlia sono stati colpiti. Arriva una ditta di disinfestazione, ma niente, la casa sembra perfetta. Sana come un pesce e pulita come uno specchio. Eppure Susan non è convinta. Ha ragione lei o sta diventando semplicemente paranoica? E, in questo secondo caso, dove può portare la paranoia? Se invece avesse ragione lei?
Americano di Washington e più volte nominato per l’Edgar Allan Poe Award, Ben H. Winters arriva anche da noi con La Casa Perfetta, primo suo romanzo appunto a essere tradotto in italiano (l’originale però porta come titolo il più efficace Bedbugs, vale a dire Cimici). La casa editrice (Tre60, vale a dire TEA) parla nel risvolto come il degno erede di Rosemary’s Baby, attribuendo fonte di tale legame alla critica. Non dubito della veridicità del collegamento, un po’ di più invece sulla verosimiglianza della comparazione, tanto scomodando il romanzo di Ira Levin quanto il film di Roman Polanski.
Evitiamo quindi di scomodare i santi. E di cadere nella trappola di un efficace slogan pubblicitario. Il romanzo di Winters ha in sé il ritmo incalzante dei noir che partono sassolino e arrivano valanga. Scrittura veloce, personaggi minimali quanto basta, ambientazione cool, progressione della storia so much readable, come si direbbe nelle librerie in riva all’Hudson (o al Mississippi). Date la mano all’autore e lui vi porta in una corsa senza fiato alla fine. Senza spargimenti di sangue (non è proprio così, ma il liquido vitale perduto è veramente contenuto) e praticamente atti di violenza. Gioca la psiche del lettore. Il climax arriva e se ne va in modo sbrigativo annacquando la tensione del brivido. Affettare un po’ più la storia e sottolineare più chiaramente il lato infernale dei personaggi avrebbe regalato al romanzo un altro respiro (ecco perché Rosemary’s Baby cammina comunque su un altro marciapiede). Ma se avete intenzione di concedervi una lettura pocket, questa suspense fa per voi.