La scacchiera di Auschwitz



John Donoghue
La scacchiera di Auschwitz
Giunti
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Auschwitz, 1943. Le vite di Emil Clement, ebreo francese deportato nel lager, in cui perderà i figli, e quella di Paul Meissner, ufficiale delle Waffen SS, si incrociano per la prima volta.
Emil è infatti un bravissimo giocatore di scacchi, e Meissner, inviato nel campo dopo essere stato gravemente ferito sul fronte russo, ha appena ricevuto l’incarico di organizzare qualche attività nel campo per risollevare il morale dei soldati tedeschi. La sua idea è quella di organizzare un torneo di scacchi, al quale finirà per dover partecipare anche Emil. La posta delle partite è destinata però a essere, contro la volontà di entrambi, molto alta; ogni volta che Emil vincerà la sua partita, un ebreo avrà salva la vita, in caso contrario l’ebreo morirà… Il torneo si caricherà poi di altri significati simbolici, in quanto le SS mal sopporteranno di essere battute da un “ebreo puzzolente”, ed Emil si salverà a stento, con il prezioso aiuto di Paul, ufficiale tedesco con un alto senso dell’onore.
Le vite dei due protagonisti saranno però destinate ad incrociarsi nuovamente molti anni dopo la guerra, in un torneo di scacchi ad Amsterdam. In quell’occasione, fra Emil e Paul avverrà la completa riconciliazione e molte vicende troveranno un chiarimento.
Di più non possiamo svelare.
Il romanzo, che a tratti pare avere un ritmo un po’ lento, rende molto bene, ancora una volta, l’orrore dei “campi”, anche se riesce difficile aggiungervi altro, dopo capolavori come “Se questo è un uomo”, di cui vengono, necessariamente, ripresi molti temi.
I suoi pregi sono però, a mio parere, da ricercare altrove. Soprattutto nell’ansia, da parte di Meissner, ora vescovo missionario e tornato in Europa perché molto malato, di spiegare a Clement (detto “l’orologiaio”, dal mestiere che Emil svolgeva in Francia prima della deportazione) anche le “sue” ragioni, e nella sua volontà di ottenere da Emil perdono e amicizia.
Non un romanzo sui “campi”, quindi, ma un libro che parte da quella tragedia indicibile che vide milioni di morti per assumere una dimensione più raccolta e personale, quasi intimistica, che andrà poi a trovare la sua conclusione in un commovente finale.

Gian Luca Antonio Lamborizio

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