“Il problema è che quando la scimunitaggine è grande, capace che fa mezzo giro e si trasforma nel suo opposto, in… chiamiamola spertìzza. Ma quando la scimunitaggine invece di grande è grandissima, il giro lo fa completo. Da scimunito che eri ti sei fatto spèrto, ma siccome sei troppo scimunito, hai fatto il giro completo e ora mi risulti di nuovo scimunito. Scimunito completo.”
Dopo avere deliziato il panorama letterario col romanzo “Io non ci volevo venire” con cui ha fatto esordire Giovà, di professione metronotte per raccomandazione dello Zzu, il mammasantissima del quartiere Partanna- Mondello di Palermo, Roberto Alajmo con “La strategia dell’opossum” regala ai lettori una nuova esilarante (dis)avventura del suo novello Giufà che manco capisce quello che fa.
In questo genere di momenti sarebbe bello poter descrivere i pensieri che attraversano la sua mente. Ma anche il narratore più onnisciente dovrebbe arrendersi di fronte all’evidenza: quelli non somigliano a veri e propri pensieri. Se Giovà fosse un vecchio televisore, il suo flusso mentale somiglierebbe alla nebbia elettronica dovuta a mancanza di sintonia.
Con prosa lavorata di scalpello e levigata con certosina introspezione, lo scrittore palermitano riproduce perfino la parlata di chi vive nei quartiere di borgata e trova spunti sempre nuovi per divertire e far riflettere su una certa Sicilia che difficilmente trova spazio sui media. E se il poliedrico Pif sbeffeggia la mafiosità col linguaggio cinematografico, Roberto Alajmo trova la sua cifra stilistica nella parola scritta con cui dà piena voce a un’umanità tanto realistica da sembrare inventata.
Giovà, cinquantenne pingue amante del divano, vive in un immobile a gestione matriarcale con la madre Antonietta, la zia Mariola, la sorella Mariella e la parrucchiera Mariangela.
Il romanzo si apre con Mariella che, a sorpresa, annuncia il suo imminente matrimonio con lo storico fidanzato che lavora vicino Torino. Palermitano anche lui e attempato come Mariella, al futuro sposo i piccioli non sono mai mancati. Ha un villino a Mondello e così, dopo la botta a sorpresa dell’annuncio, tutto sembra andare come ci si aspetta che vada: preparativi, inviti, scelta del locale, ricevimenti, abito da sposa. Alajmo è abilissimo nel tratteggiare quello che avviene nella famiglie siciliane quando il matrimonio di una figlia specie se figlia unica, impone scelte impegnative, sia per essere che per apparire, ma diventa anche l’occasione per saldare conti in sospeso.
Dialogo tra mamma e figlia.
Quella si secca comunque: se non la inviti e pure se la inviti. Delle due, per te meglio la seconda, così perlomeno ci accùcchi un regalo. – È così che il nome di Mariangela finisce nella lista degli invitati, in una ideale sezione riconducibile al puro sadismo: gli invitati per dispetto.
Senonché lo sposo scompare proprio il giorno del matrimonio e a Giovà spetta darsi da fare per risalire all’origine di tale affronto davanti agli occhi della gente. E da tale indagine non richiesta, non voluta, e dalla quale fino all’ultimo Giovà cercerà di scansarsi, Alajmo prende abbrivio per ribaltare luoghi comuni e ficcare nei guai ancora una volta il suo Giufà di Partanna che, coi dovuti distinguo, mi ha fatto tornare in mente Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, ovvero l’icastico personaggio uscito dalla penna altrettanto ironica e irriverente di Daniel Pennac.
Ancora un dialogo esistenziale tra la madre e Giovà, quando il nostro Giufà investigatore forzato, scopre quello che non vuole scoprire.
Non devi fare niente. Niente di niente. Non è difficile, ma ti devi impegnare, figlio mio! Perché
ogni cosa che fai, rischi di fare danno. Soprattutto guai a te se scopri qualsiasi cosa.
– Io non voglio scoprire niente, ma mi pare che sono sempre le cose che mi vengono a scoprire a me.
– E tu non ti fare trovare.
E va da sé che in un romanzo siffatto, la strategia dell’opossum, mammifero che si finge morto quando è in pericolo, per indurre in inganno i nemici, Alajmo trovi ulteriore linfa per portare il lettore nel ventre molle di una fauna umana dove la commedia si fa farsa e diventa tragedia.