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Karin Slaughter
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HarperCollins
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Jeffrey chiuse il telefono e la guardò negli occhi. «Se devo dirti la verità, Lena, non so più che cosa pensare di chiunque abbia a che fare con questa storia.»
Karin Slaughter è un’autrice che non ha bisogno di presentazioni: chi la segue ne conosce il talento, ha già assaporato quell’abilità speciale che si concretizza in un attento e accurato lavoro di progettazione da cui prendono forma intrecci credibili, ipnotici e privi di vuoti o manchevolezze narrative. Le trame tracciate dalla sua penna portano il marchio di un inchiostro denso e vischioso, che, con inesorabile intenzionalità, avvolge il lettore, lo blandisce, lo imprigiona in una rete di  seducenti e irresistibili – ma talvolta inquietanti e melmose – carezze, il cui tocco attanaglia perché parla il linguaggio potente di una suspense caratterizzata da colpi di scena e verità spiazzanti. Ma la maestria con la quale Karin Slaughter gioca col thriller, plasmandolo come la più malleabile delle crete, non si esaurisce nella sua capacità di ordire plot intricati e ingegnose vicende  ricche di azione; la sua maestria sta nell’impareggiabile predisposizione che la porta a trasfigurare le sue pagine, rendendole, non solo un susseguirsi di fatti, ma veri e propri luoghi dell’anima, veri e propri universi emotivi attraverso cui l’autrice fa SENTIRE al lettore le stesse emozioni e gli stessi battiti che pulsano nel cuore dei suoi personaggi.
Lui sapeva cosa voleva dire sentirsi vuoti, al punto da elemosinare qualsiasi cosa l’altro fosse disposto a darti. E lei aveva sperimentato la solitudine disperante della prigionia in una stanza buia, dove l’unica cosa che poteva fare era aspettare. Arrivava sempre il momento in cui la mente riusciva a dirle che doveva opporre resistenza, ma poi il corpo la tradiva, e si offriva a qualsiasi consolazione gli venisse offerta. Deglutì, chiuse gli occhi e tentò un’ultima volta. «Quando lui ritornava in quella stanza, una parte di me era… felice.»
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– secondo episodio della serie dedicata a Sara Linton – non si sottrae a nessuna di queste prerogative: pur essendo un libro che risale al 2002 regge con assoluta disinvoltura il peso degli anni e incide la pelle del lettore con un bacio che ferisce, che affonda come la più affilata delle lame, mentre trascina  all’interno di una storia morbosa, in cui il male stringe in una morsa agghiacciante. Karin Slaughter non edulcora; fa luce su una ragnatela di bestiale malvagità e affonda le mani in una pozza di perversione e brutture che lascia senza fiato. Temi controversi, momenti di cruda brutalità e finestre che guardano, senza discrezione, nell’intima dimensione dei suoi personaggi, mettendone a nudo i pensieri e i demoni, sono solo alcuni dei punti di forza di Tagli, riuscito thriller, che muove i suoi primi passi in un tranquillo sabato sera come tanti altri, quando, inaspettatamente, la serata assume i contorni dell’incubo. Un incubo che è l’inizio di un’indagine complessa che porterà verso rivelazioni inaspettate rendendo chiaro che il gesto disperato di una sola persona svela in realtà implicazioni ben più vaste e orribili.  Sara Linton dovrà confrontarsi con un mondo che conosce bene: sono i suoi giovani pazienti i custodi e le vittime di crimini, che, oltre che assumere le fattezze della morte, attentano all’inalienabile diritto di vivere un’esistenza protetta e apprendere quali siano le sembianze di un legame autentico, i cui tratti non devono MAI essere alterati.  È una corsa contro il tempo quella che la pediatra – insieme all’ex marito e a tutti coloro che sono coinvolti nel tentativo di giungere alla soluzione del mistero – dovrà affrontare: un’altra ragazzina è stata rapita ed è necessario fare l’impossibile per riuscire a salvarla. Incapace di cogliere l’umanità che si trova nell’altro, il nemico con cui confrontarsi sarà un mostro protetto da una cortina di silenzi, che  muovendosi sulle salde e spregevoli gambe di una coscienza marchiata dalla più aberrante delle immoralità porterà l’orrore laddove dovrebbe regnare l’innocenza.

Mariella Barretta

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