L’aria che tira: Fascismo – Madeleine Albright con Bill Woodward

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Fascismo un avvertimento
Chiarelettere

Per dare a questo libro la giusta importanza bisogna ricordare chi è Madeleine Albright. Cecoslovacca, aveva 11 anni quando fu costretta a fuggire dal nazismo e, in seguito, a riparare negli Stati Uniti per sfuggire al comunismo. Dunque, di regimi totalitari e di feroci persecuzioni se ne intende. Se a questo si aggiunge che è stata il sessantaquattresimo segretario di Stato americano sotto l’amministrazione Obama, nonché ambasciatore Onu, si ottiene un quadro più che considerevole della sua credibilità.
In questo libro, scritto con Bill Woodward, risponde in modo articolato ma in linguaggio piano e accattivante, comprensibile anzi godibile per tutti, alla domanda: cos’è il fascismo? E la risposta non è affatto scontata come si tenderebbe a credere.  Lo scopo di questo studio storico politico si trova nel sottotitolo, di per sé agghiacciante: “Un avvertimento”.
Per spiegare cosa sia realmente quello che è stato in un recente passato il peggiore e il più sanguinario di totalitarismi, e che oggi è, per così dire, tornato di moda sotto forma di tentazione totalitaria, Albright non indulge in dotte, quanto sterili e noiose dissertazioni, ma entra nel vivo partendo dai grandi macellai della storia: Mussolini, Hitler, Erdogan, Putin e, via via, fino a Donald Trump, offrendo uno specchio delle loro azioni: dalla presa del potere all’apice del consenso popolare fino alla caduta (per quelli del passato) e mettendo a confronto i momenti storici dai quali è scaturito lo stesso consenso.
Scrive Albright a pagina 241, a conclusione del capitolo dedicato a Donald Trump, il 45° presidente degli Stati Uniti che lei non accusa mai di fascismo, anche se questo saggio è pensato e cucito proprio su di lui:
Ancora più preoccupante è, infine, il rischio di un ritorno al clima internazionale che prevaleva negli anni Venti e Trenta, quando gli Stati Uniti si ritirarono dalla scena internazionale e in tutto il pianeta i paesi perseguirono quelli che consideravano i propri interessi senza alcun riguardo verso obiettivi più vasti e duraturi. Affermando che ogni epoca ha il suo fascismo, Primo Levi, scrittore sopravvissuto all’olocausto [proprio come la Albright], sottolineò come fosse possibile arrivare a quella situazione estrema “non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine.”
Queste parole ricordano per caso qualcuno a noi molto vicino? Ma continua l’Autrice:
Se [Levi] aveva ragione, come credo, dobbiamo preoccuparci del numero crescente di correnti politiche e sociali che oggi ci tempestano: correnti alimentate dal substrato oscuro della rivoluzione tecnologica, dagli effetti corrosivi del potere, dal disprezzo di Trump [e non di lui soltanto] per la verità e dalla tendenza via via più diffusa ad accogliere a pieno titolo gli insulti disumanizzanti, l’islamofobia e l’antisemitismo fra i temi del normale dibattito pubblico.
Paura? Bisognerebbe averne invece, perché, come scrive Albright:
Non siamo ancora a quel punto, ma questi sono tutti segnali che ci riportano a un’era in cui il fascismo trovò terreno fertile e le tragedie individuali si accrebbero in maniera esponenziale.
Non bisogna dimenticare che questo saggio nel quale in gran parte ci ritroviamo è stato scritto da un’americana fuggita dall’Europa proprio per sfuggire ai fascismi, dato che per lei anche il comunismo reale della sua Cecoslovacchia era una forma di fascismo, cioè da un’ appartenente al partito democratico ma non certo un’estremista. Allora perché non crederle quando sostiene:
“Fascista è qualcuno che pretende di parlare per un’intera nazione o per un intero gruppo, si disinteressa dei diritti altrui e usa la violenza [ovviamente anche non verbale! ] o qualsiasi altro mezzo, per raggiungere i propri scopi.”
Perché, fatti i debiti e inevitabili raffronti, non cominciare a sospettare che niente è fatto per caso e niente è detto per caso, niente appartiene a quella  sfera isolata che permette a ciascuno di crogiolarsi nel pensiero rassicurante “che tanto a noi non accadrà perché siamo diversi?”

Adele Marini

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