Lasciarsi perdere – Lo spazio nero 6

Seguendo il filo del ragionamento che stiamo – assieme – seguendo ci siamo trovati davanti a una serie di casseforti chiuse al confronto delle quali anche “Lo spazio nero” sembra meno “oscuro” e insondabile.

Definizioni come “presunzione di trasmettere o di comprendere”, “conoscenza della realtà” e altre – tutte quelle che finora abbiamo incontrato – sono talmente vaste e complesse che rappresentano ciascuna un piccolo buco nero nel quale è possibile, senza fatica, sprofondare. I rischi di un tale annichilamento sono molteplici: dalla “falsa retorica” all’autocompiacimento, dalla speculazione sofistica al “partito preso” e così via.

Per questo motivo è arrivato il momento di “lasciar perdere”. Almeno per ora.

Lasciar perdere o meglio “lasciarsi perdere”, è però qualcosa di effettivamente complesso. Perché mai dovremo “lasciar perdere” discorsi ai quali abbiamo dedicato tanto tempo così: di punto in bianco? Cosa significa il “perdersi in un libro” per ciascuno di noi? La letteratura è ancora un luogo “non luogo” nel quale valga la pena perdersi? E più in generale, sappiamo ancora perdere qualcosa per guadagnare qualcos’altro? Letterariamente parlando. E non solo.

Una delle mie lezioni – la seconda del Corso Generale di Introduzione alla Narrazione I, per l’esattezza – ha questo titolo: “Quello che so della scrittura – 42 motivi per dimenticarselo prima di mettersi alla prova”. Può sembrare una provocazione e forse lo è. Ma, se anche così fosse, dovrebbe mettere in chiaro almeno un concetto: lasciarsi perdere.

Certo, pensare che “lasciarsi perdere” sia una delle chiavi che aprono alcune casseforti può sembrare – ne sono consapevole – piuttosto difficile. Eppure basta ricordare che – se mai capitasse – l’unico modo per scampare a un gorgo d’acqua consiste nel lasciarsi trasportare al suo interno dalla corrente. Anche se non è così semplice: lasciarsi trasportare e sopravvivere. Intendo.

Fabio Fracas

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