L’oro degli dei – Marco Buticchi



Marco Buticchi
L’oro degli dei
Longanesi
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Avviamoci guidati da Marco Buticchi in questo nuovo e affascinante viaggio alla ricerca di un leggendario tesoro.
Un viaggio arricchito da una ricerca tesa a  risolvere un cold case che  risale  addirittura  a venticinque secoli  prima:   dobbiamo spingerci fino alla Grecia,  nel 400 a.C.  Un’avventurosa,  densa di passioni e spesso rischiosissima indagine che si svilupperà, dilatandosi a dismisura attraverso  tre diversi spazi temporali, ovverosia il V secolo avanti Cristo, il XIX secolo e i nostri giorni.
Buticchi, con i suoi libri, ci ha sempre viziato abituandoci  a spaziare tra fatti e persone, tra  passato e presente,  pur regalando al lettore accorti riassunti per aiutarlo a seguire la trama,  permeata da continui   cliffangher e balzi temporali che  accrescono  la suspense  della narrazione.
Quindi  anche stavolta, con come attori trainanti , la consueta  coppia Oswald Breil e Sara Terracini, la storia prende il via dalla tolda della Williamsburg, lo splendido yacht e loro casa galleggiante,  perfettamente riparata in due anni di lavoro e pronta a salpare.
Si parte quindi dall’intrigante telefonata a Sara Terracini  fatta dal dottor Marradesi dal Centro di tutela e salvezza dell’arte di  Roma che riguarda una  scritta, o meglio due,  pare volutamente coperte dalla pittura di un dipinto di Titta Lisieri, buon pittore ottocentesco figurativo ma, e soprattutto,  uomo di fiducia di lord Elgin. Quel Thomas Bruce conte di Elgin al quale  il  British Museum  deve i fregi e le sculture del Partenone. 
Le due diverse  scritte del dipinto che ritrae uno scorcio dell’acropoli  durante  la  rimozione della cariatide poi trasportata a Londra, stuzzicano immediatamente la curiosità di Sara Terracini e ci ci costringono ad arrampicarci di corsa con lei  sulla macchina del tempo.
E la nostra  prima meta sarà quella quella legata  a tanti secoli fa, a   Pericle, il democratico, stratego e uomo politico  per  oltre vent’anni alla guida di Atene,  che aveva affidato il compito  a Fidia, allora il massimo  scultore greco,  di concepire un’opera monumentale per onorare Pallade Atena. Così sull’Acropoli  era nato  il Partenone, nel   quale Fidia aveva poi  fatto  installare una  gigantesca  statua della dea, di ben 1137 chili d’oro. In realtà Fidia, d’accordo con Pericle, aveva creato un statua in piombo solo ricoperta  da una lamina  d’oro  e nascosto invece il grosso del prezioso metallo in un posto  segreto. L’ idea di Pericle era, così facendo, di avere a disposizione una cospicua riserva da utilizzare a favore della città in caso di guerra  o  possibili tempi duri a venire.  Solo un allievo di Fidia, Barnaba, era stato  messo a conoscenza del segreto.
Segreto tuttavia che, su istigazione del commediografo  Ermippo, nemico viscerale di Pericle,  aveva provocato dubbi e sospetti tra gli ateniesi con  un sollevamento popolare a cui avevano fatto  seguito  precise  accuse a Fidia  e il suo immediato  imprigionamento,  fino alla morte avvenuta un anno dopo senza che il suo protettore, il  grande Pericle, poi  vittima dell’epidemia di peste, fosse riuscito a scagionarlo. Solo Barnaba, a quel punto, sapeva ma doveva  guardarsi dai nemici che volevano incastrarlo. Nonostante le sue  straordinarie capacità infatti, anche la sua vita, l’ amore per la sua donna e  il suo destino saranno  in qualche modo condizionati per sempre.
Quel tesoro rimarrà nascosto per secoli… Solo gli dei potranno  testimoniare  il suo segreto.
Ma noi, guidati dal  Marco Buticchi risaliamo nella navicella del tempo fino a raggiungere il 1802 in Grecia, nell’acropoli ateniese sotto il dominio turco, quando lo spregiudicato  ambasciatore britannico presso la Sublime Porta, lord Elgin – per la  posizione di rilievo assunta  dalla Gran Bretagna dopo la   sconfitta della Francia temuta dall’impero ottomano,  nella battaglia del Nilo del 1798 , grazie all’ammiraglio Nelson ,  ottenne  un firmano, ovverosia un documento scritto equiparabile a un decreto, che gli consentiva  di riprodurre le sculture presenti nell’Acropoli attraverso calchi e disegni e di poterne asportare una  parte.  Subito gli uomini di lord Elgin, al comando del pittore italiano Giovanni Battista Lusieri,  dettero il via alla rimozione dal Partenone di cinquanta rilievi e di quindici metope dei  fregi e delle sculture di Fidia e  di alcune  statue dall’Eretteo. In corso d’opera,  celata  sotto la sesta cariatide dell’Eretteo,  fecero  una straordinaria scoperta che consentì loro di ritrovare l’oro perduto e di imbarcarlo segretamente  assieme ai marmi su una  nave mercantile diretta in Inghilterra.  Ma al lauto  bottino di Lord Elgin miravano anche Napoleone Bonaparte, allora Primo Console, vittorioso in Italia ma  reduce dalla sfortunata impresa egiziana e l’Ottagono (forse l’autore l’ha chiamato così rifacendosi  all’ottagono con putti che reggono lo stemma papale Della Rovere nella Stanza della Segnatura?), braccio operativo  dell’Entità, nome che si attribuisce al  servizio segreto vaticano,  agli ordini del cardinal Giovanni Battista Caprara Montecuccoli.  
Ma salpato da Atene, per far ritorno  in Inghilterra, il Mentor il solido brigantino mercantile che trasportava tutti i  reperti,  finito in balia  di una spaventosa tempesta,  s’inabisserà  per la rottura dei cavi delle ancore nella baia protetta  nel mar Egeo, nei pressi del porto di San Nicolò nell’isola di Cerigo (oggi Kythira). Tutto l’equipaggio e gli incaricati di Lord Elgin verranno tratti in salvo. Le casse contenenti i  marmi e l’oro sono rimaste dentro il relitto,  sottacqua,  appena a trenta metri, sul fondale. Non è difficile immaginare le difficoltà per riuscire a recuperarle ( a tutt’oggi il relitto della nave è ancora in situ). Ci vollero  anni, e fu possibile solo grazie all’impiego di coraggiosi (e resistentissimi) pescatori di spugne provenienti dalle isole di Kalimnos e Symi, dove quell’attività  allora era molto fiorente.
Da quel momento San Niccolò   diventerà  il palcoscenico  della più imponente impresa di ripescaggio subacqueo dell’epoca. Ma anche lo  scenario e il campo di scontro  di trame e fatali intrighi tra  gli inglesi,  le abili  e collaudate spie di Napoleone e i terribili  servizi segreti del Papato sempre pronti a uccidere senza “cristiana” pietà . E  lord Elgin, caduto nelle mani di Bonaparte e da lui tenuto  praticamente prigioniero, resistendo  impavido per anni alle dure pressioni e alle  continue lusinghe,   riuscirà a  far ritorno  in patria solo nel 1806  e  dopo infinite contrattazioni al ribasso, oberato dai debiti,   a cedere il suo tesoro al British Museum  nel 1816. 
Ai nostri giorni spetterà a  Oswald Breil e Sara Terracini il compito di risolvere l’enigma, ripescare  fortunosamente in fondo al mare la Nike d’oro e avorio, una statua dorata, alta circa 2 m,   un tempo sorretta dalla mano destra della gigantesca Pallade  Athena realizzata  da Fidia per il suo tempio dell’Acropoli, e rinsegnarla in patria  prima che l’umana avidità sia pronta a farla sparire di nuovo e  per sempre agli occhi del mondo.
Attraverso il suo  lungo viaggio nella Storia, Marco Buticchi ripropone  un mistero che partito dall’Antica Grecia incrocia il dominio  di Napoleone fino a raggiungere faticosamente  l’oggi.
A caccia di un  millenario tesoro di inestimabile valore, verranno svelate o date possibili risposte  a tanti interrogativi .  Molto ingegnosa e particolare l’attribuzione che fa  Marco Buticchi  a Barnaba, allievo di Fidia, di almeno uno dei due bronzi di Riace,  ritenuti  i gemelli  Castore e Polluce, ma  nei quali  tuttavia, secondo recenti interpretazioni,  più in  particolare  la forma dell’elmo del guerriero,  si potrebbe celare il grande condottiero Pericle.  
I suoi contemporanei infatti chiamavano Pericle Schinocefalo, ovverosia testa  di cipolla e lo schernivano  nel descrivere la sua Dolicocefalia ovverosia il  suo cranio piatto e allungato considerato invece  dai faraoni egiziani quasi un segno divino.

Patrizia Debicke

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