Mato Grosso



Ian Manook
Mato Grosso
Fazi
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Dimenticatevi Yeruldelgger. Scordatevi della sua vita epica, delle sue indagini e della sua Mongolia che ha fatto innamorare tutti noi.
Ian Manook sa stupire e lo sa fare sul serio. Mato Grosso, la sua ultima fatica letteraria, è un romanzo completamente diverso rispetto alla trilogia dell’investigatore mongolo.
Il filone noir è rispettato e questa volta l’autore ambienta la sua narrazione in Mato Grosso. Haret, il protagonista, ritorna in Brasile dopo molti anni e l’occasione è quella di presentare il suo nuovo “Romanzo Brasiliano” che sta riscuotendo molto successo nel mondo. Ospite a Petropolis, nella casa che vide Stefan Zweig e moglie darsi la morte, conosce il suo ospite, una vecchia conoscenza che nel suo passato carioca ha avuto un ruolo fondamentale.
E’ un romanzo che Manook scrive con abilità e con una precisione descrittiva quasi maniacale. Le pagine sono ritratti su tela, sono dipinti espressionisti di una qualità eccelsa e, a volte, fin troppo particolareggiata. E’ la descrizione di un viaggio, di violenze esplicite ma il più delle volte subdole e striscianti. E’ la storia di Haret, che costretto a rileggere l’intero romanzo in una notte con la pistola puntata al petto ed impugnata dal suo ospite, rivive un’intera vicenda passata cioè la storia narrata nel libro. Si scopre quindi il delitto di cui si è macchiato il protagonista, il suo amore folle per una ragazza brasiliana ed il ruolo di un poliziotto che indaga sull’intera vicenda.
Mato Grosso è un romanzo quasi psicologico, dove la violenza striscia insieme alle pagine ed alle vite dei personaggi che sono in realtà veramente vissuti ed ai quali Haret ha solamente cambiato nome. E’ la storia di una confessione che Manook racconta sorprendendo per il modo in cui l’ha descritta. E’ un Manook a cui non siamo abituati ma ancora una volta si è comportato da fuoriclasse.

Marco Zanoni

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