Megan Abbott – Dammi la mano



Megan Abbott
Megan Abbott
Einaudi
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Kit e Diane sono due adolescenti molto diverse. Kit Owens appartiene ad una famiglia piuttosto umile, risiede in un sobborgo della città di Lanister, il padre l’ha abbandonata e sua madre mantiene entrambe con un lavoro sottopagato da infermiera presso una clinica veterinaria. E’ intelligente ma svogliata.
Diane Fleming invece è benestante, i suoi sono separati, lei vive ora con l’uno ora con l’altro genitore: dispone di una lussuosa abitazione che condivide col nonno, bei vestiti, proviene da una scuola privata prestigiosa. E’ particolarmente avvenente, talentuosa ed ha ottimi risultati scolastici. E’ consapevole del fascino magnetico che esercita su chi la circonda. E’ poco empatica, scostante con chi tenta di penetrare i suoi silenzi.
Le due si incontrano alla scuola pubblica – dopo che la seconda vi si è trasferita per non meglio precisati motivi – e subito scoprono di avere in comune la passione per le materie scientifiche, in particolare per la chimica, in cui eccellono.
Nasce così un’amicizia intensa ed un sodalizio di studio, che le lega in poco tempo a tal punto da indurre Diane a rivelare all’amica un’insospettabile macchia nel suo recente passato.
Questa rivelazione scatena in Kit – che ora ne è l’unica depositaria al mondo – una crisi interiore: ciò la porta ad allontanarsi da Diane, colpevole di averle attribuito il peso di una verità che la sua coscienza le imporrebbe di denunciare.
Kit arriva a temere Diane, di cui saggia la freddezza e la totale e patologica assenza di senso di colpa.
Il rapporto tra le due – suggellato dal silenzio – si spezza.
Anni dopo, divenute entrambe ricercatrici promettenti, si ritrovano a lavorare fianco a fianco ad un progetto di sperimentazione che le vedrà concorrere – questa volta – per il medesimo posto nell’équipe di una luminare, la dottoressa Severin, virago della ricerca biomedica.
Torneranno a galla le paure di Kit ma anche quel senso di fascinazione perversa – quasi di attrazione fisica irrisolta – che la legava a Diane.
I ruoli saranno tuttavia capovolti giacché sarà questa volta Diane a conoscere alcuni fatti e comportamenti poco commendevoli attribuibili a Kit che potrebbero costare a quest’ultima il posto nella squadra, mettendo a rischio una vita di sacrifici, proprio ad un passo dal riconoscimento professionale per cui entrambe hanno così instancabilmente lavorato.
Di questo thriller si apprezza l’ambientazione, il mondo della ricerca scientifica e dei finanziamenti che la sostengono. Un contesto in cui – ben lungi dall’idea romantica, quasi epica, che se ne potrebbe avere – non vi è spazio per legami sinceri, in cui prevale l’ambizione, la maldicenza, la scorrettezza personale. O almeno questa è la visione che ci fornisce Megan Abbott.
Originale è anche l’oggetto di studio – il Ddpm – cioè il disturbo disforico premestruale: una forma depressiva che colpisce tante donne in età fertile e che può condurre in casi particolarmente gravi a comportamenti aggressivi legati agli sbalzi ormonali. Un tema ostico, ancestrale, molto “femminile” e come tale generalmente liquidato con qualche becera battuta, se non addirittura oggetto di un certo imbarazzo nell’essere affrontato.
Ancora, si apprezza il linguaggio utilizzato, accurato, preciso: il lettore è letteralmente catapultato all’interno di un laboratorio, ne vengono descritti gli ambienti e gli strumenti, le procedure, gli effetti delle reazioni chimiche. Con l’attenzione certosina di uno scienziato, l’autrice analizza i rapporti gerarchici, le ambizioni, le fatiche e le aspettative di chi ci lavora: i dialoghi sono brevi, sincopati, impietosi nel loro realismo, senza alcuna concessione al sentimentalismo.
E’ un libro che gira attorno alla parola “sangue”: quello dei vincoli familiari, quello del ciclo femminile, quello innocente della cavie di laboratorio, sacrificate sull’altare della ricerca. E non solo, scoprirà il lettore.
In questo romanzo nulla è come sembra e – in un crescendo emotivo particolarmente riuscito – si vuole suggerire una riflessione sul tema della patologia dei legami affettivi. Un libro che smitizza e dona una luce autentica al mondo della ricerca scientifica.

Il libro in una frase
“Bisogna sempre cercare la crepa, nelle creature apparentemente perfette”

Sabrina Colombo

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