Guardie, ladri e poveri cristi – Rita Boini



Rita Boini
Guardie, ladri e poveri cristi
Futura
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Tredici storie vere, con per lo più come principali protagonisti, persone reali,  gente  del popolo o della piccola borghesia implicati, senza volere, in fatti di cronaca, alcuni talvolta  insignificanti e che  oggi potrebbero al massimo far sorridere,  altri invece inquietanti e angosciosi.
Una sfilata di personaggi, dalla bottegaia alla prostituta, dallo studente magari senza una lira al ciabattino o al ragazzo di bottega, in azione  con per palcoscenico  una Perugia, quella della seconda metà dell’Ottocento, come ci ricorda  lo storico Dino Renato Nardelli, nel suo intervento a: «Un periodo, questo, in cui il tessuto sociale di Perugia registra momenti di stasi e permanenze profonde».
I fatti di Guardie, ladri e poveri cristi, tutti accaduti e documentati, garbatamente trasformati in racconto  o meglio in un’antologia, da Rita Boino, sono stati riesumati  dalle carte dell’Archivio di Stato di Perugia, Fondo Tribunale di Perugia.
Tredici cronache d’epoca  che l’autrice ha scelto fra le centinaia sepolte nelle collezioni dopo il 1861, avvenute in un’Italia ormai  unita dalle Alpi a Lampedusa.  
Processi che ci  restituiscono una parte di cronaca minuta della città, solo valorizzata dalla sua collocazione gli ultimi trent’anni dell’Ottocento ma ci riportano indietro nel tempo, per renderci parte di una storia minore fatta anche di drammi ed emozioni delle persone più semplici. Con in veste di interpreti  tanti  personaggi che vivono ai margini  e si muovono nelle  pagine  di questo libro, quali  una bottegaia, un commesso, un operaio, un aggiustatore di articoli di cuoio, un fornaio.  E ancora  uno studente, un ciabattino, un lampionaio, il cliente  di un’osteria, un sacrestano, un fabbro, la guardia della pubblica latrina, un muratore e la furba tenutaria di  un bordello di bassa lega.  Gente semplice, spesso sprovveduta ma talvolta  ricca di atavica e smaliziata  furbizia che non guarda mai  in faccia al prossimo.
Ultimi trent’anni dell’800, un periodo in cui, passato l’afflato  degli entusiasmi risorgimentali e attenuato il dolore per i lutti, ci si barcamena a Perugia  in un momento di difficoltà burocratiche dovute agli  aggiustamenti per rendersi compatibili con uno Stato unitario, mentre il tessuto sociale di Perugia ristagna senza un effettivo  sbocco vitale. 
L’aristocrazia terriera, trasferita  in città  dopo aver lasciato le proprie residenze in campagna, continua a fondare il suo prestigio e soprattutto le sue rendite sui possedimenti fuori le mura; che si accrescono a dismisura con i  beni ecclesiastici e demaniali. Ragion per cui potere e ricchezza della città restano in mano alle classi dominanti, soprattutto formate da proprietari fondiari. All’ antica aristocrazia medioevale e rinascimentale si è affiancata quella più recente, creata dalla corte pontificia  negli ultimi due secoli, fatta di mercanti, magistrati, ma entrambe coerenti nell’atteggiamento nei confronti del latifondo, considerato solo segno di potere e di prestigio e non un bene da utilizzare  con spirito di modernizzazione imprenditoriale.  Conseguenza pratica zero innovazione, immobilismo e  miseria dei contadini confinati a faticare nei campi. Viceversa in città negli ultimi trent’anni del diciannovesimo secolo si affaccia l’iniziativa della borghesia imprenditoriale che comincerà ad avviare le prime iniziative industriali contribuendo a creare un nuovo assetto urbano.
Perugia, è una cittadina di 15.000 abitanti (l’intero  Comune ne conta  al censimento poco più di 50.000) interamente racchiusa entro le antiche mura etrusco-romane-medioevali. Ancora in spazi e  modi  pensati cinquecento anni prima in  una Perugia medievale tra le vie, le case, le botteghe, le sacrestie, le bettole, i bordelli, da Porta Sant’Angelo a via Garibaldi, da Porta Pesa a Piazza degli Aratri, da via Fabretti…Luoghi non ancora stravolti dal progresso. 
Questo è lo scenario nel quale si muovono i protagonisti e interpreti delle nostre storie. un mondo piccolo, fatto di vicoli bui, di botteghe artigiane, di un popolo insomma che viveva nelle strade dei rioni, chiassoso, povero.
Una schiera di persone che, in qualche modo purché  sia,  cercava  di sopravvivere. Un mondo antico, carico di suggestioni di vita vissuta, costretto ad adeguarsi a una  difficile convivenza tra una città in lento cammino verso la modernità e una vicina campagna esposta alla povertà  e alla fame.
Le storie vere del libro sono elencate in ordine cronologico ma ben attualizzano la brutalità contro il furto inventato e la ruberia di una donna da parte di un’altra donna, l’omicidio per vendetta o per stoltezza o cupidigia, le risse, le fucilate, i duelli rusticani, il gioco d’azzardo  e il costante scorrere a fiumi del vinaccio delle osterie, delle taverne. Senza contare  il furto sacrilego, la prostituzione, e l’oltraggio alle donne,  le ruffiane e le puttane, gli  stupri, e altre vicende mai appurate, ancora celate nel mistero e l’inchiostro delle pagine della carta stampata.
Si avvertono i primi momentanei  guizzi di rivendicazione, tracce dell’embrionale movimento socialista. Ma  fugaci, solo emblema di piccoli gruppi chiusi, spesso  litigiosi e che le Forze dell’Ordine considerano solo come  “associazione di malfattori allo scopo di delinquere contro le persone e contro la proprietà”.
Si potrebbe opporre  all’autrice la critica che le carte giudiziarie, garantiscono solo un unico  punto di vista. Ma questa è una bella raccolta di fatti in veste di racconto e non un saggio  al quale dovrebbe  competere diversa  tipologia di ricerca e altri più approfonditi  documenti da incrociare.
Rita Boini è giornalista e  scrittrice di vivace e  intelligente versatilità, una persona  dai poliedrici interessi intellettuali, culturali e di  cronaca che  ci ha regalato anche  stavolta un chicca,  andando argutamente a pescare  nelle emeroteche un inanellarsi di eventi, ebbri di sesso, denaro  e sangue, a formare una coinvolgente antologia noir, arricchita da una suasiva patina vintage. 

Patrizia Debicke

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