Per un pugno di spie

[Inuguriamo oggi con questo pezzo di Giancarlo Narciso, vincitore nel 2006 del prestigioso Premio Scerbanenco, una collaborazione fra MilanoNera e il sito Vedovi Neri. Ci scambieremo articoli, pareri, suggerimenti eccetera. Buona lettura]

L’uscita in Segretissimo del romanzo di Claudia Salvatori La genesi del male potrà anche essere, tanto per parafrasare “ole Neil” – no, Pinketts, non quello a cui si rivolgono i Lynyrd Skynyrd, quell’altro, Armstrong – un piccolo passo per l’uomo ma è sicuramente un grosso balzo in avanti per la prima, e da tempo ormai unica, collana italiana di spionaggio.
Per molti motivi.
Innanzitutto, era da tempo inenarrabile che una donna non compariva fra gli autori della collana.
Ma questo è, nel migliore dei casi, folklore. Nel peggiore, sessismo.
Più importanti sono due aspetti strettamente interconnessi, il primo è che Claudia viene giustamente riconosciuta come una scrittrice raffinata anche da chi, palesando inquietanti sintomi di razzismo intellettuale, distingue ancora oggi fra narrativa mainstream e di genere; il secondo, che accetta di firmare con il suo vero nome. Come a dire che non si vergogna di quello che fa perché convinta dei suoi mezzi, che sono infatti notevoli, come chiunque si sia preso la briga di affrontare senza pregiudizi la lettura di La genesi del male potrà confermare.

Come molti lettori de I Vedovi Neri ben sanno, infatti, da tempo Segretissimo pubblica romanzi di autori italiani celati da pseudonimi esotici, da Xavier Le Normand a Stephen Gunn, da François “Paco” Torrent a Jo Lancaster Reno. Perché?
Questioni, diciamo, storiche.
Da sempre Segretissimo ha sofferto di un marcato complesso di inferiorità rispetto alle altre due collane da edicola della Mondadori, il Giallo e Urania, assumendo fin dalle origini una connotazione di basso profilo che non è mai riuscito a scrollarsi di dosso, complici forse le copertine sexy di Carlo Jacono, come ricorda Valerio Evangelisti che in un divertente articolo comparso sull’ultimo numero dell’Europeo ne rievoca i turbamenti che le donnine poco vestite provocavano sulla sua fantasia prepuberale.
Un altro duro colpo alle pretese di nobilità della serie è stato inflitto da Gerard de Villiers, inossidabile autore francese che dagli anni sessanta sforna con regolarità quattro romanzi all’anno, in cui l’approfondimento psicologico o geopolitico lascia volentieri spazio a frequenti scene di sesso estremo ed esplicito che spuntano con regolarità fra le pagine. La scelta dello pseudonimo straniero era quindi motivata oltre che da precise ricieste di chi dirigeva la collana nei tardi anni ’90 – convinto, forse non a torto, che il lettore avrebbe disdegnato storie firmate da italiani – anche dal desiderio degli autori di
non contaminare la propria immagine.
Questo per l’edicola. Per le collane da libreria la situazione era diversa e autori come Graham Greene e John Le Carré (entrambi ex agenti del MI6, il servizio segreto di Londra) erano giustamente riconosciuti per i loro eccelsi meriti letterari, mentre alle loro spalle si schierava una serie di autori di impronta più commerciale ma in ogni caso sempre di buon livello, come Len Deighton, Frederick Forsyth, Murray Smith e altri, tutti rigorosamente britannici. Italiani, niente, forse a causa della pessima immagine stragista e golpista che, a torto o a ragione, i media hanno appiccicato addosso ai nostri
servizi di intelligence.
Ma anche per la spy story nobile si avvicinavano tempi cupi. Nel 1989 crolla il muro di Berlino, scompare l’Evil Empire e per Francis Fukuyama finisce la storia. E improvvisamente per il grande pubblico spie e intrighi internazionali assumono la stessa attualità dei dirigibili, dei juke box e del tirannosaurus rex. John Le Carré ci prova ancora, facendo il verso con il suo sarto panamense all’agente all’Avana di Graham Greene o raccontandoci le malefatte delle industrie farmaceutiche internazionali, ma è l’unico. Forsyth spedisce i suoi eroi ormai crepuscolari a dare la caccia agli ex soci di Milosevic,
Deighton ha smesso di scrivere e Smith, uno dei più promettenti nuovi autori di spionaggio, pubblica tre ottimi romanzi con la Penguin che non vengono tradotti né ristampati. Gli altri, Jack Higgins e Daniel Silva, si occupano per un po’ dell’IRA, senza crederci molto, fino a quando perfino gli irlandesi decidono di mandarli in pensione smettendo di spararsi addosso.
Dopo di che, calma piatta.
Finché, dopo anni di stagnazione, segnali nuovi prendono a stagliarsi contro l”orizzonte. Sul fronte della cronaca politica internazionale, la Jihad si candida prepotentemente a sostituirsi nell’immaginario collettivo all’Impero del Male. E di spionaggio si ricomincia a parlare. In termini sempre più realistici.

Su quello nostrano, i nostri servizi tornano d’attualità e un certo Nicola Calipari fa capire agli italiani che un agente segreto può essere un uomo onesto e rispettabile, dal volto franco e simpatico.
E il mondo letterario?
Aspetta. Ma sotto la superficie, anche lì qualcosa comincia a ribollire. A Segrate, nella sede della Mondadori, uno scrittore di peso come Alan D. Altieri prende in mano il timone delle collane da edicola. E i risultati cominciano a vedersi. La pattuglia degli italiani scalpita. Vogliono raccontare storie di spionaggio che ci tocchino da vicino e riguardino la realtà. E, incoraggiati da Alan, che da tempo reclama dignità per la serie, vogliono firmare con il loro vero nome.
Claudia è stata la prima, con risultati incoraggianti.
Aspettiamo gli altri.
I Vedovi Neri

Giancarlo Narciso per I vedovi Neri

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