Sei giorni di preavviso – Giorgio Scerbanenco



Giorgio Scerbanenco
Sei giorni di preavviso
La nave di Teseo
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L’approccio a “Sei giorni di preavviso” non può prescindere dalla contestualizzazione storica della genesi di questo primo giallo firmato da Giorgio Scerbanenco. Nella riedizione proposta da La nave di Teseo, a parte la splendida copertina, c’è il valore aggiunto della prefazione scritta dalla figlia Cecilia. Ho letto molte critiche sulla qualità di questo romanzo ma evidentemente gli autori di tali sommari giudizi non hanno chiaro il quadro generale in cui Scerbanenco si trovò a lavorare. Siamo nel 1940, e sono anni in cui la letteratura ed i romanzi d’evasione hanno una diffusione paragonabile a quello che sarà il boom della televisione parecchi anni dopo. I generi di maggior successo sono rappresentati dal rosa e dal poliziesco, e per quest’ultimo tipo di romanzo il cliché vuole che il delitto venga risolto ragionando secondo logica in un accogliente salotto borghese. La letteratura deve intrattenere e svagare essendo un periodo post-bellico. Tra l’altro Scerbanenco si trova a combattere con il Fascismo che pur non potendo mettere al bando il poliziesco fornisce precise indicazioni per cui i balordi oggetto di narrazione devono essere stranieri, così come le ambientazioni in cui prendono forma. Come spesso accade la coincidenza per cui “Sei giorni di preavviso” viene ambientato a Boston è il fatto che Scerbanenco abbia casualmente disponibile una cartina del capoluogo della contea di Suffolk e capitale del Massachusetts. Ma c’è da dire che l’ambientazione a stelle e strisce sarà sempre sfumata, quasi di cartapesta, Scerbanenco nel suo racconto non sarà mai fedele alla vera pianta di Boston, tratteggia i contorni sfocati dalla nebbia di un posto che potrebbe essere tranquillamente una città europea qualsiasi. Sei giorni di preavviso è il primo dei cinque romanzi polizieschi destinati a svilupparsi poi come il ciclo di Arthur Jelling e raccolti in volume sotto il nome Cinque casi per l’investigatore Jelling. Il romanzo esce l’8 giugno del 1940 come parte della collana Supergiallo della Mondadori. Un anno più tardi escono due romanzi, La bambola cieca e Nessuno è colpevole, seguiti da altri due titoli L’antro dei filosofi (1942) e Il cane che parla (1942). Il protagonista principale della pentalogia scerbanenchiana è il timido archivista Arthur Jelling, un poliziotto atipico che ogni mattina si reca in ufficio, all’Archivio Criminale, come un qualunque impiegato, come il più oscuro degli impiegati, a catalogare interrogatori ed elenchi di referti, o stesure di alibi. Questo investigatore americano deve scoprire l’autore di una serie di minacce, contenenti data, luogo e ora di morte, inviate ad un vecchio attore teatrale, Philip Vaton, il quale alla fine verrà ucciso portando il corso d’indagine a prenderà un’altra strada. Jelling è un detective di aspetto insolito, molto timido, un sognatore, certe volte goffo nell’atteggiamento, «magro, alto, pettinatissimo, correttissimo». Nella descrizione del suo detective, Scerbanenco non segue i canoni della bellezza maschile del suo tempo che privilegia i tipi atletici e robusti. Arthur Jelling aveva tentato di laurearsi in medicina, ma le cattive condizioni finanziarie della sua famiglia lo avevano costretto a lasciare gli studi proprio alle soglie della laurea, per accettare un impiego e per caso si troverà ad entrare nella Direzione generale di polizia. È sposato a una donna più timida di lui, il cui nome costantemente cambia da un romanzo all’altro a tal punto che nell’edizione originale di Sei giorni di preavviso si chiama Adela, ne La bambola cieca Adele e Jole ne Il cane che parla. Si può definire un investigatore positivista così come Sherlock Holmes di Doyle, evidenziando che Scerbanenco «si giovava dai propri incompiuti studi medici per porre le basi del metodo d’indagine di Jelling» e che tutti e due i detective si servivano del metodo scientifico per scoprire gli autori del delitto. In questa descrizione introduttiva si può osservare il modus operandi di Jelling:

“Egli non era un poliziotto, né avrebbe saputo esserlo, anche se avesse voluto, per quella morbosa timidezza […] Ma era, e lo era veramente e grandemente, un teorico. Un teorico nel senso più completo e geniale della parola. […] Quando studiava medicina, ed era al secondo anno, con la sola deduzione logica riuscì ad ideare una nuova pinza chirurgica per presa di organi interni, […] Da archivista alla Direzione generale di Polizia, aveva trovato il bandolo di due oscuri delitti, così, seduto al suo tavolo di lavoro, senza svolgere indagini, proponendo al momento giusto la soluzione giusta, l’unica giusta perché logica.”

Nelle sue indagini, Jelling si serve dell’aiuto di Tommaso Berra, un noto studioso di psicopatologia, del capitano Stolan Sunder, il suo superiore, e del sergente Matchy che viene chiamato in causa solo quando si tratta di compiti di bassa manovalanza come minacce e perquisizioni.

Ultima nota, il narratore generalmente è eterodiegetico, mentre il narratore onnisciente Berra a volte si comporta anche come narratore omodiegetico-allodiegetico. Da notare la tecnica utilizzata da Scerbanenco che si serve di analessi, prolessi, focalizzazioni interne ed esterne e molte volte anche di narratori di secondo grado. 

Gianluca Iaccarino

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